Esistono persone che hanno la smania di raccogliere degli oggetti, in quantità spesso molto grande, talvolta perfino eccessiva per le loro stesse possibilità. Sono oggetti legati tra loro da una qualche relazione più o meno evidente o segreta, che queste persone amano tenersi intorno e che si godono appena ne hanno il tempo. Si costruiscono un mondo a parte, uno loro regolato dal loro piacere, composto da ciò che li fa star bene, reale quanto il reale esterno. Realizzano anche quella che sentono come una loro opera, una sorta di super-opera fatta di cose realizzate da altri ma scelte e caricate di ulteriore significato da loro.
Spesso sono tipi strani, diversi. Li si riconosce subito quando li si incontra, in qualsiasi situazione, anche solo nella conversazione, specie se si tocca un argomento che li riguarda. Si alterano, si trasformano in presenza di quello che cercano, diventano capaci di comportamenti lontanissimi dalle loro consuetudini.
Sono i collezionisti e da tempo attirano l’attenzione di psicologi, antropologi, studiosi di vario tipo e scrittori di ogni genere. C’è una grande letteratura su di loro, che li descrive nei modi più vari, dalla caricatura quasi comica alla caratterizzazione drammatica. Il collezionismo non ha limiti, si colleziona di tutto. C’è chi vorrebbe avere tutto di un determinato tipo o soggetto e chi raccoglie secondo un criterio tutto suo – un’idea, la voluttà, la simulazione – oggetti disparati fino all’inverosimile.
C’è una storia della loro evoluzione, perché ogni epoca ha avuto i suoi collezionisti, che l’hanno rispecchiata significativamente. Il collezionista del Manierismo cinquecentesco era diverso da quello secentesco barocco, le Wunderkammern hanno costituito una moda, l’Ottocento ha avuto un collezionismo industriale, il Novecento quello maniacale, quello modernista, quello monopolista, quello archivistico. Per fare qualche nome famoso del collezionismo d’arte, Gertrude Stein era diversa da Peggy Guggenheim così come da Paul Getty… E chissà se costoro avevano un’altra collezione più personale, più intima, di quella che esponevano pubblicamente, di rappresentanza.
Veniamo dunque all’arte. Il fatto è che ultimamente si è parlato, dibattuto, scritto molto sul collezionismo, ma quasi esclusivamente da un punto di vista bocconiano, di investimenti, di calcolo, di status symbol e simili. All’inverso, contemporaneamente, gli artisti stessi hanno cominciato sempre più a esporre come loro opere certe loro collezioni personali, o a concepire le loro stesse opere come collezioni, ognuno intendendo la questione in modo diverso, naturalmente. In effetti il collezionare è diventato una metafora, una figura dell’arte stessa e della cultura, del modo di intendere questo mondo così cambiato. Niente più sistemi, evoluzione lineare, grandi metafisiche… Che cosa dunque? La rete? L’archivio? No, la collezione. La collezione come modo di tenere insieme le cose, le idee, gli affetti, i comportamenti, di metterli in relazione e farli significare. Un modo più concreto, dal didentro, a misura umana, per star bene al mondo. Non un modello, non come si vorrebbe che fosse anche il resto, ma come si riesce a fare veramente intorno a sé. Un modo costruttivo, in continua modifica, una sorta di anagramma del mondo, i cui pezzi compongono di volta di volta sequenze diverse, gli ultimi arrivati aggiungono altre possibilità e il cui senso si legge in filigrana, trasversalmente al significato degli oggetti che lo compongono, secondo una logica altra, non lineare ma dei rapporti delle parti tra di loro. Il collezionismo sfugge alle teorie, nasce da una necessità sentita, non transige sulla propria realizzazione.
Qui l’arte impara dalla vita? O comunque ne scaturisce più spontaneamente? Si colleziona di tutto, dicevamo, appunto.
Dunque, che cosa abbiamo fatto? Un anno fa abbiamo messo insieme un libro, in cui abbiamo esposto questo modo di intendere il collezionismo, ricostruito in sintesi la sua storia recente e le questioni che ha posto all’arte, raccolto delle testimonianze (Gilbert and George, Fischli and Weiss) e invitato degli artisti a presentare dei progetti speciali di “collezioni”, a modo loro (Stefano Arienti, Giulio Lacchini, Luca Pancrazzi). Tra i collezionisti d’arte abbiamo intervistato alcuni che hanno compiuto gesta collezionistiche particolari: acquistato intere mostre-eventi non smembrabili (Tullio Leggeri), o partecipato attivamente all’arte che hanno acquistato (Corrado Levi), o raccolto gli “ephemera” dell’arte (Maurizio Nannucci), per esempio. Collezionisti non di arte in realtà è difficile trovarne che parlino apertamente di come intendono il senso del loro collezionare; abbiamo allora ospitato testi di studiosi – anche loro speciali, “collezionisti” nel nostro senso generale – su collezioni strane, che vanno allora dagli incudini (Manlio Brusatin) ai dettagli di quadri (Antonella Anedda) a… alle idee, all’immateriale (Gianluigi Ricuperati).
Oggi mettiamo insieme un’esposizione-collezione di collezioni, a partire da quel libro ma con tante cose nuove in più, estratti di collezioni di oggetti non d’arte soprattutto: dai santi ai nastri colorati, dalle piante ad altro ancora, approfittando della forma espositiva per mescolarli a parti di collezioni d’arte e ad opere di artisti che della collezione hanno fatto il loro tema o la loro forma, o che abbiamo invitato a confrontarsi con il nostro modo di intenderla. Si va così da Joseph Cornell, sorta di nume tutelare della nostra iniziativa, a Stefano Arienti, Sophie Calle, Vincenzo Cabiati, Mario Dellavedova, Silvie Fleury, Louise Lawler, Armin Linke, Amedeo Martegani, Maurizio Nannucci, Luca Pancrazzi, Luca Scarabelli, Alessandra Spranzi, Studio Permanente, Luca Vitone, Warburghiana.
Contiamo sulla “stranezza”, inconsuetudine, particolarità dell’esposizione che ne risulta per restituire e concretizzare il senso di questo modo di intendere, il suo lato vivo e aperto soprattutto, ma anche la sua necessità e diffusa radicalità, più radicata di quanto si è soliti pensare, sommersa da altri interessi e comportamenti, urgente forse per considerare diversamente le cose.
[ Il presente saggio accompagna la mostra curata da Elio Grazioli Collezionismi. Il mondo come voluttà e simulazione, visitabile fino al 24 aprile presso Assab One – Associazione Promozione Arte Contemporanea, Milano. ]