[...] I giorni si perdevano per via. I cammini paralizzati preparavano e veniva poi riempita api, di grida in volo, urla, si abbatteva frastagliate per concentrici. Sembrava per un po’ non accadere nulla. Accadeva, non, che il suono dopo scivolava. . . . . . . . . Scompariva. In seguito, i cammini paralizzati esplodevano l’uno dentro l’altro come, tremiti. Palpiti. Se ne erano bruciate a centinaia di migliaia, contro la fiamma che accostava, nella città che brucia, se ne inclinavano paurosamente i muri sino a coprire la strada, che abbracciata, se ne concentravano altre pietra dopo un’altra, dopo pietra, un’altra pietra dopo, e su queste per massa, per sciame, nella città che crollava e che trema, se ne premevano a strati. Che farfalle. Che assordanti, ténere, falle. . . . . . . . . . In seguito, per i cammini paralizzati sembrava non passasse ape, tanto il silenzio, tanto immobile. E in quel preciso istante che sembravano passate, che si estinguesse il buio per tornare indietro, che vedersi ancora fosse, oh possibile, oh chiamato, oh prossimo, oh toccarsi almeno un poco e spegnersi o, a pena, rivedersi, . . . . . . . . . . In quel momento dato, punto, da un punto all’altro dei cammini paralizzati scoppiano, le urla che riesplodono, sembrava, era è, impossibile, doglia esplode che trasogna, ancora una volta, urla fa tremare rimbomba la strada, sono passate, non ancora, via. Ancora morti, morenti, colano dagli occhi che sangue, che bianco, e urla che concludono in niente, singhiozzo che non chiude, un singulto che cede. . . . . . . . . . . . C’è tuttora movimento di granchio, ossessione disquieta che intride, che cola da lato a lato. È come una cosa che brucia, cammino paralizzato di fruscìo che trancia e che disquieta. Procede per falle – farfalle. . . . . . . . . . . . . Come il moto sfocia nella quiete, così la quiete crolla, cade nella falla in cui il cammino, passo, fremito, giunge a paralizzato, che si compie. Quanta fine, che farfalla. . . . . . . . . . . . . . Non sarà certo questo disquilibrio a trattenermi in vita – annuncia al contrario la mia fine puramente pura ed individuale: indistinzione verso indistinzione. . Non così lo sciame. . Che pure muore, e finirà, dopo di me – soltanto un po’ più piano: . . . . . . . . . . . . . . Finirà per fame, per pena, per male, per noia, per niente. Finirà per niente, per noia, per male, per pena, per fame. [...]
[Le api migratori / Andrea Raos ; illustrazioni di Mattia Paganelli. – Oèdipus, 2007]
per l’immagine (C) Mattia Paganelli.