In un grande contenitore, fornito di maniglie per tenersi o di stanghe come nella ferrovia urbana veloce di Berlino, c’è un gruppo di persone pigiate una contro l’altra, in piedi. Tra loro, dapprima nascosta, Lilly Groth, una donna prossima alla quarantina in abiti giovanili: giacca di jeans ornata di piccoli cristalli e pietrine, fuseaux colorati, stivaletti. Porta una parrucca di capelli neri con taglio a caschetto. Come se fosse sotto l’effetto di una droga, grida a brevi intervalli: “Bello è il mondo bello è il mondo” a un ritmo veloce con le note puntate e l’accento sulla parola “bello”, in un vortice di danza monotono e scomposto. Inoltre batte il tempo con i piedi o con le mani. Un uomo urla: “Chiudi il becco! Rintronata che non sei altro”. Un momento di silenzio. Poi di nuovo, dal fondo, Lilly Groth: “Giù il velo! Giù il velo! Non lasciatevi smerdare dai mullah!”. Un cane abbaia. Lilly Groth: “Bello è il mondo bello è il mondo”. Il cane abbaia più forte. Lilly Groth fa finta di abbaiare ridendo. Una donna: “La pianti di saltare! Siamo qua stretti come acciughe e lei continua a saltare”. Un’altra voce: “Teppaglia!”. Lilly Groth: “Vengo davanti. Davanti c’è più casino.”. Avanza a spintoni nel mucchio agitando un bicchiere di Coca Cola. Qualcuno le sbatte con violenza sulla faccia il giornale arrotolato. Dopo un secondo di immobilità dovuto allo spavento, lei grida molto forte: “Bello è il mondo bello è il mondo”. Qualcuno le dà una ginocchiata nella schiena. La picchiano e la buttano a terra. Lilly Groth: “Giù il velo… giù il… – bello è -“. Viene calpestata, si dimena in una pozzanghera di Coca Cola.
(Da Botho Strauss, L’equilibrio, traduzione dal tedesco di Luisa Gazzero Righi – Costa & Nolan, copyr. 1995. Image: Koki Tanaka, video still from Moving still, 2002, from the exhibition Asian Comments, 2004, Danish Center for Culture and Development, Copenhagen.)