da VIAGGIO NELLA PRESENZA DEL TEMPO / Giancarlo Majorino. 2008. I

Ventisettesimo canto

Dopo due gg. di “scuola popolare”, queste osservaz. Profsin sugli operai frequentanti:

– ling. concreto, terra terra, privo di metafore, ancorato ai propri interessi (altrettanto presente-pressante che presso i borg. la centralizz. dell’egoismo, qui però legato alla propria situaz. di lavoro e al proprio ruolo, più che alla propria persona);
sono abb. giovani (dai 25 ai 35 quasi tutti, diciamo 12 su 15); freq. gli scherzi, pare pure sul posto di lavoro, quando possono fermarsi;

– aggressivi denunciano gli abusi degli immediati “superiori”: comandano, non fanno e costringono a “spingere per farsi belli più su”; la direzione sta là, irraggiungibile; noi rispondiamo senza strafare; “schisci schisci”, facendo il meno possibile, assenze tutte le volte che si può;

– l’andare in pensione è sentita più che altro come una diminuzione del salario, perciò risparmiamo, “soldi per la vecchiaia”, un po’ di sicurezza è fondam.;
l’affinità di fondo alla teoria marx. è sorprendente: pare che Marx (e poi Engels, e poi altri) abbia generalizzato dal vivo: il comunismo;

– mancano di astrazioni conseguenti e concettualizzazioni, cioè di possibilità di generalizzare le proprie esperienze; carenza di allenamento al teorico (dovuta anche allo stop scolastico: nessuno è andato oltre le elementari o la I media); picchia la divisione tipica del lavoro nella sua esemplarità vivente: io/noi intellettuali, se non riusciamo a far funzionare il registratore; loro, sùbito stanchi delle parole; però, ciascuno è ciascuno, sono come noi composti pure di altri, grovigli di grovigli; per es., uno politicamente lucido è conservatore in famiglia; uno più spregiudicato è qualunquista; ecc.;

– Di Guida (così parecchi altri extraparlamentari) e con loro violento, per parecchi motivi, personali e “oggettivi”: sono potenzialmente rivoluzionari, se coscienti (di qui, un pedagogismo sloganistico, a martellate dall’alto, in collisione netta con il fare tra il libresco e lo svagato dei docenti studenti di, tutti e 3 sotto i 30);
sono frammentati in tantissime categorie: B a, B b, C a, 4 b, 4 d ecc., ognuna con stipendio diverso e mansioni diverse, sulla carta; nel concreto possono, comandati, fare qualsiasi cosa; in più, devono obbedire ad altri operai incaricati di sorvegliarli o ad impiegati che si dividono tra quelli, appunto, che fanno i capetti e quelli “che fanno un cazzo gli uffici”, andanti al gabinetto quando vogliono;

– forse sono davvero la v-r, la verità della realtà! perché di rimpetto a loro devono essenzializzarmi, essere ciò che sono: un insegnante un intellettuale (non, un millevite!); essenzializzarmi come i defunti nell’aldilà dantesco?! e responsabilizzarmi per tutto ciò che sono, che dico, che penso? una mescolanza di antagonismo e dipendenza, voglia di cavarsela, vivere meglio che si può, un sentire molto naturale, che ci accomuna, poi però sono diffidenti, più stanchi (è scuola serale), poco “simpatici”, mai “brillanti”;

– da un punto di vista pedagogico nuovo sta scuola popolare fa schifo: io sono il primo a inquietarmi se la mia autorità e il mio sapere sono criticati o snobbati; non parliamo del Di Guida che addirittura vacilla fisicamente e urla; i tre studenti sembrano liceali al telefono che si dettano il compito; però, quando Di Guida e io manchiamo, pare si sciolgano o comunque si divertano di più (capitato, inatteso, grandi risate e disinvolte frasi sin da fuori, coi tre giovani, un po’ rossi in faccia ma allegri, e la maggioranza degli operai in avanti, quei corpi soprattutto);
tra l’altro (pare che sto “tra l’altro” sia il mio intercalare preferito: segnala complessità, allusività intellettuale, vaghezza antiresponsabile), si alternano nel faccione impeti da dritto e innesti di saggezza, con un risultato di (gli stud.:) “autorevolezza inquieta”, che fa ridere i polli;

– sull’Erba Voglio 12 sett. ’73 un int. resoconto da scuola per emigranti in Germania; come il solito spregiudicato; tra l’altro (riecco!) “ci siamo accorti che colui che pone le domande impone di fatto la propria problematica” sino a un perentorio “per cominciare, chi è che pone le domande qui?!”;
replica il fossato divisorio, una riunione alle ACLI: noi borgh. intell. fatichiamo a non metterci in evidenza; ci rappresentiamo ininterrottam.; i lavoratori studenti sono più concreti, più riducenti (tra loro, però, s’intendono), scarso rilievo dato a sé: l’io è sostituito da “uno”, “uno fatica come una bestia tutta la vita”, “uno che ha la famiglia sulle spalle”;

– riunione con liti tra noi docenti: quando faccio notare a Carlo il suo non lasciarli esprimere e le sue continue ripetizioni (due modalità, per me, e forse anche per gli stud., insopportabili) lui fa contronotare: gli operai hanno detto che a volte io e gli studenti (e io l’avevo notato soltanto riguardo gli stud.) parliamo troppo in fretta e troppo per allusioni; Carlo, poi al bar io e lui: è che sono pronti, tu non li conosci, io ci sto parecchio assieme, a ritirarsi in quel qualunquismo cieco, cupo, gli stessi sindacati e i revisionisti li hanno delusi, la lotta in se stessa non paga eccetera; anche con me, all’inizio, erano diffidenti perché ero un estremista, perché parlavo parecchio, poi pian piano, aiutandoli intanto però ogni difficoltà, sono frustrati anche perché si sentono inferiori da ogni punto di vista, basta uno dietro uno sportello; io vado giocarci a footbaal, parliamo del campionato ecc.