da JUNKSPACE / Rem Koolhaas. 2001

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Se lo space-junk (spazzatura spaziale) sono i detriti umani che ingombrano l’universo, il junk-space (spazio spazzatura) è il residuo che l’umanità lascia sul pianeta. Il prodotto costruito della modernizzazione non è l’architettura moderna ma il Junkspace. Il Junkspace è ciò che resta dopo che la modernizzazione ha fatto il suo corso o, più precisamente, ciò che si coagula mentre la modernizzazione è in corso, le sue ricadute. La modernizzazione aveva una programma razionale: condividere i benefici della scienza, universalmente. Il Junkspace è la sua apoteosi, o il suo punto di fusione… Per quanto le sue parti individuali siano il risultato di brillanti invenzioni, lucidamente pianificate dall’intelligenza umana, sospinte da una capacità di calcolo infinita, la loro somma scandisce a chiare lettere la fine dell’Illuminismo, la sua resurrezione come farsa, un purgatorio di basso livello… Il Junkspace è la somma complessiva delle nostre attuali conquiste; abbiamo costruito più di tutte le precedenti generazioni messe insieme, ma per qualche ragione non possiamo essere misurati sulla stessa scala. Non lasciamo piramidi. Secondo un nuovo Vangelo della bruttezza, c’è già molto più Junkspace in costruzione nel XXI secolo di quanto ne sia sopravvissuto dal XX… Inventare l’architettura moderna, nel XX secolo, è stato un errore. Nel XX secolo l’architettura è scomparsa; abbiamo speso il nostro tempo a leggere al microscopio una nota a piè di pagina sperando che si trasformasse in un romanzo; la nostra preoccupazione per le masse ci ha reso ciechi all’Architettura della Gente. Il Junkspace sembra un’aberrazione, ma è l’essenza, ciò che conta… il prodotto dell’incontro tra la scala mobile e l’aria condizionata, concepito in un’incubatrice di cartongesso (tre cose che non compaiono nei libri di storia). […]. L’aria condizionata ha dato vita tehran.JPGall’edificio senza fine. Se l’architettura separa gli edifici, l’aria condizionata li unisce. L’aria condizionata imponeregimi mutevoli di organizzazione e coesistenza che lasciano indietro l’architettura. Un solo centro commerciale è oggi il lavoro di generazioni di organizzatori dello spazio, riparatori e tecnici, come nel Medioevo; èl’aria condizionata a sorreggere le nostre cattedrali. (Inconsapevolmente, tutti gli architetti stanno forse lavorando su uno stesso edificio, per ora separato, ma dotato di recettori nascosti che lo renderanno un giorno coerente. […]. Quando pensiamo allo spazio, abbiamo preso in considerazione solo i suoi contenitori. Dal momento che lo spazio in sé è invisibile, ogni teoria sulla produzione dello spazio si basa su una preoccupazione ossessiva per il suo opposto: la sostanza e gli oggetti, ovvero l’architettura. Il Junkspace è la nostra punizione per le loro mistificazioni. Parliamo dello spazio allora. La bellezza degli aeroporti, soprattutto dopo ogni lavoro di miglioramento. Il lustro dei rinnovamenti. La sottigliezza degli shopping center. Esploriamo lo spazio pubblico, scopriamo i casinò, spendiamo qualche tempo nei parchi a tema… Il Junkspace è il doppio corporeo dello spazio, un territorio di visione compromessa, di aspettative limitate, di serietà ridotta. È un Triangolo delle Bermuda dei concetti, una capsula Petri abbandonata: cancella le distinzioni, mina alla base ogni risoluzione, confonde l’intenzione con la realizzazione. Sostituisce la gerarchia con l’accumulo, la composizione con l’addizione. È sempre più vero che more is more. Il Junkspace è allo stesso tempo troppo maturo e troppo poco nutriente, una colossale coperta di Linus che ricopre la terra in una paralizzante stretta d’attenzione… Il Junkspace è come essere tokyo1.JPGcondannati in un bagno perpetuo in una Jacuzzi con milioni dei tuoi migliori amici… Un nebuloso impero di indistinzione che confonde l’alto con il basso, il pubblico e il privato, il dritto e il ricurvo, il sazio e l’affamato per offrire un ininterrotto patchwork di ciò che è perennemente disarticolato. Si presenta come un’apoteosi, spazialmente grandiosa, ma l’effetto della sua ricchezza è una vacuità estrema, una viziosa parodia d’ambizione che erode sistematicamente la credibilità del costruire, forse per sempre… La spazio è stato creato accumulando materia su materia, cementando fino a dar forma a un nuovo insieme solido. […] Non ci sono muri, solo partizioni, tenui membrane spesso dorate o coperte di specchi. La struttura scricchiola impercettibimente al di sotto della decorazione o, peggio, è divenuta ornamentale; piccoli, lucenti telai spaziali sopportano carichi nominali, oppure travi enormi trasportano pressioni ciclopiche verso destinazioni insospettabili […] Come una sostanza che avrebbe potuto condensarsi in qualunque altra forma, il Junkspace è il dominio di un ordine finto, simulato, un regno del morphing. […] Poiché non può essere afferrato, il Junkspace non può neppure essere ricordato. È sgargiante ma non memorabile, come uno screensaver; il suo rifiuto di irrigidirsi garantisce un’amnesia instantanea. Il Junkspace non aspira a creare perfezione, solo interesse. Le sue geometrie non sono immaginabili, sono solo realizzabili. […] Alcune sue parti sembrano devote a una totale inerzia, altre sembrano in perpetuo subbuglio retorico: ciò che è più inattivo va a braccetto con quanto vi è di più isterico. […] L’estetica è bizantina, fastosa e scura, frantumata in migliaia di schegge, tutte visibili allo stesso tempo: un universo quasi panottico in cui tutti i contenuti si riorganizzano in frazioni di secondo intorno all’occhio dell’osservatore. Gli affreschi, una volta, rappresentavano idoli; i moduli del Junkspace sono dimensionati per accogliere marchi; i miti possono essere condivisi, i marchi dispensano con parsimonia un’aura lasciata alla mercè dei focus group. I marchi, nel Junkspace, hanno la stessa nuova-immagine.JPGfunzione dei buchi neri nell’universo: sono essenze attraverso le quali il significato scompare. […] Come il virus disattivato in un’inoculazione, l’architettura moderna rimane essenziale, ma solo nella sua manifestazione più sterile, l’high tech (sembrava così morto solo una generazione fa!). Esso espone ciò che le generazioni precedenti tenevano accuratamente nascosto: le strutture spuntano fuori come molle da un materasso; le scale di emergenza dondolano in esercizi didattici al trapezio, sonde fuoriescono nello spazio per distribuire laboriosamente quello che di fatto si trova gratis ovunque, l’aria, migliaia di metri quadrati di vetro sono appessi a fili come ragnatele, pelli tese racchiudono flaccidi non-eventi. […] Il Junkspace prospera nel progetto, ma il progetto muore nelJunkspace. Non c’è forma, solo proliferazione… Il rigurgito è la nuova creatività; invece della creazione, onoriamo, apprezziamo e abbracciamo la manipolazione… Le superstringhe di grafica, gli emblemi trapiantati del franchising, le sfavillanti infrastrutture di luce, led o video descrivono un mondo senza autore che nessuno può reclamare, sempre unico, totalmente imprevedibile, eppure intensamente familiare. […] Il Junkspace inventa storie da ogni parte, i suoi contenuti sono dinamici e tuttavia stagnanti, riciclati o moltiplicati come in una clonazione: forme in cerca di funzione come paguri in cerca di un guscio vuoto… [….] Nel Junkspace non vi sono che sottosistemi, senza megastrutture, particelle orfane in cerca di una cornice o un’ordine. Ogni materializzazione è provvisoria: tagliare, piegare, strappare, rivestire: la costruzione ha acquistato una nuova morbidezza, come la sartoria… Il giunto ha smesso di essere un problema, una sfida intellettuale: i momenti di transizione sono definiti con graffe e adesivi, nastri marroni raggrinziti mantengono l’illusione di una superficie ininterrotta; verbi sconosciuti e impensabili nella storia dell’architettura – ammorsare, appiccicare, piegare, lasciar cadere, incollare, sparare, raddoppiare, fondere – sono diventati indispensabili. Ogni elemento svolge il proprio compito in un isolamente negoziato. Là dove una volta il dettaglio suggeriva l’incontrarsi, forse per sempre, di materiali diversi, vi è ora un accoppiamento transitorio, sul punto di essere disfatto, riaperto, un abbraccio temporaneo con alte probabilità di separazione; non più un incontro orchestrato fra differenze, ma la fine improvvisa di un sistema, uno stallo. […] Mentre interi millenni hanno lavorato in favore della permanenza, dell’assialità, dei rapporti e della proporzione, il programma del Junkspace è l’escalation. vegas.jpgInvece dello sviluppo, esso offre entropia. […] Il cambiamento è stato staccato dall’idea di miglioramento. Il progresso non c’è più; la culura barcolla di lato senza sosta. […]. La trasparenza è scomparsa, sostituita da una densa crosta di usi provvisori: chioschi, carrelli, passeggini, palme, fontane, bar, divani, trolley… I corridoi non collegano più semplicemente A e B, ma sono divenuti “destinazioni”. […] Ogni prospettiva è perduta, come in una foresta pluviale. […] Poiché non ricostruiamo mai o non mettiamo mai in questione l’assurdità di queste dérives forzate, ci sottomettiamo docilmente a viaggi grotteschi attraverso profumi, persone in cerca d’asilo, cantieri, biancheria intima, ostriche, pornografia, telefoni cellulari – avventure incredibili per il cervello, l’occhio, il naso, la lingua, l’utero, i testicoli… […] I resti delle vecchie geometrie creano ancora più caos, offrendo tk.JPGdisperati nodi di resistenza che creano gorghi di instabilità in flussi sempre più opportunistici… Chi oserebbe dichiararsi responsabile di una simile sequenza? […] Il postmodernismo aggiunge una zona di assorbimento degli scontri, un poché virale che frattura e moltiplica la soglia infinita dell’esporre, un cellophane peristaltico che è cruciale per ogni scambio commerciale. […] Dal vicolo cieco dove siete stati depositati da una monumentale scala di granito un ascensore vi porta verso una destinazione invisibile, di fronte a un provvisorio panorama di gesso, ispirato da fonti dimenticabili. […] Può lo scialbo essere amplificato? L’anonimo essere esagerato? In altezza? In profondità? In lunghezza? Attraverso la variazione? La ripetizione? […] La maledizione dello spazio pubblico: fascismo latente sapientemente ammantato di segnaletica, luoghi per sedersi, simpatia… Il Junkspace è post-esistenziale: ti rende incerto su dove sei, rende poco chiaro dove stai andando, distrugge il luogo dove eri. Chi pensi di essere? Chi vorresti essere? […] Il Junkspace sarà la nostra tomba. Metà dell’umanità inquina per produrre, l’altra metà inquina per consumare. […] Il Junkspace è politico: dipende da una rimozione centrale della facoltà critica in nome del comforto e del piacere. […] Il comfort è la nuova giustizia. […] Non è esattamente vero che “si accetta tutto”: in effetti, il segreto del Junkspace è di essere insieme promiscuo e repressivo. […] life/style, reality/tv, world/music, museum/store, food/court, health/care, waiting/lounge. Il nominare ha preso il posto della lotta di classe, amalgama sonoro di status, high concept e storia. […] Il Junkspace conosce tutte le tue emozioni, i tuoi desideri. È l’interno del ventre del Grande Fratello. Anticipa le sensazioni della gente. Viaggia corredato da una colonna sonora, odori, sottotitoli; fa sapere a tutti in modo chiassoso come vuole essere letto: ricco, stupefacente, impassibile, enorme, astratto, “minimale”, storico. Sponsorizza una minacciosa collettività di consumatori in sicura anticipazione dei loro prossimi acquisti. […] Il soggetto è svuotato della sua privacy in cambio dell’accesso a un nirvana di credito. Sei complice nel tracciamento delle impronte che ogni tua transazione lascia dietro di sé, sanno tutto di te, tranne chi sei. […] Attraverso il Junkspace la vecchia aura viene ravvivata con nuovo lustro per generare un’improvvisa vitalità commerciale: Barcellona si è fusa con le olimpiadi, Bilbao con il Guggenheim, la.JPGla 42ma con Disney. Dio è morto, l’autore è morto, la storia è morta, solo l’architetto è rimasto in piedi… un offensivo scherzo dell’evoluzione… Una mancanza di maestri non ha impedito una proliferazione di capolavori. “Capolavoro” è divenuta una sanzione definitiva, uno spazio semantico che salva l’oggetto dalle critiche, lascia le sue qualità non provate, le sue prestazioni non misurate, le sue ragioni non discusse. Il capolavoro non è più un colpo di fortuna inesplicabile, un tiro di dadi, ma una tipologia coerente: la sua missione è di intimidire, la gran parte delle sue superfici esterne sono piegate, grandi percenutali della sua superficie sono disfunzionali, le sue componenti centrifughe sono tenute insieme a stento dalla forza attrattiva dell’atrio. […] Nel passato, le complessità del Junkspace erano compensate dalla spoglia crudezza delle sue infrastrutture di contorno […]. Ora massicce iniezioni di lirismo hanno permesso all’infrastruttura – il solo dominio una volta immune dal progetto, dal gusto o dal mercato – di unirsi al mondo del Junkspace, e al Junkspace di estendere le sue manifestazioni sensibili a tutto ciò che sta sotto la volta celeste. Le stazioni si dispiegano come farfalle d’acciaio, gli aeroporti scintillano come ciclopiche gocce di rugiada, i ponti uniscono sponde spesso trascurabili come versioni grottescamente ingigantite di un’arpa. A ogni ruscello il suo Calatrava. […] Il minimo è l’ornamento supremo, un crimine ingiustificato, il barocco contemporaneo. Non significa bellezza, ma colpa. La sua serietà dimostrativa spinge intere civiltà tra le braccia accoglienti del pacchiano e del kitsch. Ostentatamente un sollievo dalla costante aggressione sensoriale, il minimo è il massimo con addosso un vestito da donna, un modo segreto di ripulire la lussuria: più rigorose sono le linee, più irresistibile la seduzione. Il suo ruolo non è di approssimare il sublime, ma di minimizzare la vergogna del consumo, di far defluire l’imbarazzo, di abbassare ciò che è troppo alto. […] Il Junkspace è come un grembo che organizza la transizione di un’infinita quantità di reale – pietre, alberi, merci, la luce del giorno, le persone – nell’irreale. […] Il colore, nel mondo reale, sembra più irreale, esausto. Il colore, nello spazio virtuale, è splendente, ergo irresistibile. Un’indigestione di reality Tv ci ha trasformato in guardiani dilettanti che sorvegliano un junk-universo.

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[da R. Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, 2006, a cura di G. Mastrigli, trad. it. di F. De Pieri. Immagini: M. Giovenale & J. Leftwitch, Untitled, 2007; A. Broggi, from Urban day [Tehran, Tokyo, Vegas, Vegas, Tokyo, LA], 2006-07.]