Vincenzo Ostuni
DUMANI. 2008
«C’è una speranza infinita […]»
FRANZ KAFKA
1.
(Omissis. Fatto ancora cenno alla natura doppiamente censoria del desiderio,
e artificialmente selettiva:
primo, si sa: desiderare questo, obliterandone i limiti di avverabilità;
secondo, però: desiderare questo ma non quello;
sperare, ma sperare quel che viene,
e non dell’altro
– ché c’è ogni volta da sperare altro,
altro da qualsiasi determinazione
o posizione, altro da ogni velleità o ferma risoluzione;
c’è tutta un’altrità eternamente digrignante,
che con imperscrutata identità
biascica molando di lontano le cento consonanti del suo nome –
fatto cenno di questo, che rimane
della «speranza infinita, ma [che] non è per noi»?
Rimane quel che abbiamo – unicamente?).
2.
«Ma non è mica detto, sai, amore,
che Marte sia un brutto posto dove stare. Non è detto che non sapremmo
cosa respirare. Come passare il tempo –
che mangiare».
Per cosa il desiderio è disperante? per l’eccedenza, la spontanea e radicale trascendenza?
o perché è una scimunita opzione
di solamente uno fra un milione?).
3.
(Un controracolo per l’intero eone – e non per l’anno, decade o millennio:
ma verrà un giorno che per qualche p, per qualche x,
non-p di x eppure p di x.
Che i singoletti avranno sottoinsiemi
– propri –, e affluenti i rivoli sorgivi;
e che gli istanti epoche distinte;
e che si trovi che le superstringhe vibrano tutte un jingle dell’infanzia
– musica delle sferule, a conclusiva quietanza).
(E a pulci orbe ognuna un cane-guida).
4.
«Che cosa vuoi?»,
commenta lei leggendo, di sorpresa, spuntata dietro un angolo di casa.
«Una modalità di profezia
per spostamento, per analogia?
Non che evocare in via diretta il portento auspicato,
sperarne invece, per te o altri, un sottoderivato o epifenomeno,
un párergon stocastico, una metonimìa?».
Poi torna in fretta da dove veniva, a beghe o conti o minime intraprese,
in compagnia di sé che sa pensare
solo pensieri in via definitiva.
(«Tu fai l’opposto di quel che fa un oracolo», mi dico, dandole ragione – come sempre;
«questo cifra il portento, e decifrarlo è dedurlo dal messaggio;
tu – tu speri nel messaggio da sé stante, devii l’investimento
dal codificato sul codificante»).
5.
«Dumani!», reclama mio figlio stasera, olofrasticamente,
e lesinando indizi di contesto.
Così, di volta in volta, vorrà dire: «A domani!», semplicemente, prima di dormire;
oppure: «Domani voglio un’altra caramella!» (il patto è di una al giorno);
o chissà cosa; ma a volte, sono certo,
proprio nulla,
se non dumani – e basta.
E io che interpreto lo relego da subito
sotto un’insana o insensata rubrica
(«Non avrà mai il domani che pretende!»);
immagino una vacua fatica, commisero (o rimpiango) tanta imprecisione,
la tracotanza – la preterizione.
Ma perdo il punto: dumani non è allora un giorno altro –
ma questo stesso in questa stessa vita.
(«Non è per noi, ma c’è una speranza infinita»).