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L’indifferente duchampiano, connotato chiave della sua estetica, non è assoluto, ma relativo e temporaneo: una volta rinvenuto in un oggetto, ed esposto tale oggetto (readymade), con l’ingresso dell’oggetto, divenuto “opera”, nel sistema delle arti – e quindi del gusto (del “buon gusto”) – esso decade. Ciò non perché l’”oggetto-opera” in quel momento sia divenuto apprezzabile, o “bello” (tale solo in un secondo momento, una volta realizzato un aggiornamento del canone), ma, meramente, in quanto esposto e quindi accettato.
La sfida sarebbe allora, ogni volta, quella del rinvenimento nella realtà, per così dire, di un “indifferente più indifferente”, e così all’infinito, con progressivo allargamento dell’ambito dell’arte a ogni successivo inserimento nel proprio canone di oggetti (ma anche pratiche, ecc.) fino a qual momento ad essa indifferenti; allargamento, e insieme inclusività della soglia dell’esponibile, cioè, come asintotico assottigliamento della linea che separerebbe sfera artistica e mondo, finzione e realtà.
Una strategia di lavoro che punti a un’indifferenza estetica ogni volta nuova – rispetto all’avvenuta metabolizzazione da parte del sistema delle arti rispetto all’indifferenza precedentemente introdotta – mirerebbe quindi alla ricerca continua di quanto è ogni volta ancora esterno alla sfera estetica: a quanto cioè, a ciascuno stadio (storicamente e materialmente determinato) della storia dell’arte e del dibattito sull’estetica, non è ancora arte. Tale strategia porrebbe in risalto la paradossalità, la quasi impossibilità – o per lo meno la difficoltà – del proprio scegliere ad ogni stadio successivo, stadio che sarebbe però tale solo grazie al superamento della presunta impossibilità precedente.
Ora, cosa comporterebbe la sostituzione, in questo discorso, del termine “arte” con il termine “letteratura”?
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[…] alessandro broggi. partendo da duchamp. un appunto sull’”indifferente”. 2003 [28-02-2013 .it] – christian dotremont. à tervuren le train pour bruxelles, …. 1972 […]
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