cronache / renato pedio. 1967

 

Cronache 1

Mano della vacanza, cara parte, è in linea, fa il conto;
mano che taglia il libro, i rimorsi i minuti;
lo fanno, amore dondolante, i fili, saltano catenarie
infinite lungo i finestrini: ci scrive il risveglio;

dopo la scia del tuo corpo, riesuma, viene il vento,
la ruota espelle, quei vortici, quell’errore, il binario
è gaio, canta jè-jè, scartando, il gelo
del coro, sulle mie membra passa, e a me non riesce

e un giorno è un giorno; cioè, un giorno e un giorno; verso
la bara, un viaggio, una trivella, indolenza
verso un giardino, di fumo, un cancello, di fumo, uno una, barba,
e di dosso, la vite la serro, scarnisco, le ore

con una racchetta, nella mano, rotta, con un foglio
sotto, stropicciato, i capelli, con distorto, un polso,
sul tuo, itinerario; e sdrucita, una camicia; e bambino, un neurone,
esca cieca, nuota alla cieca, nella tua acqua, quell’acqua, quella.

 

Cronache 2

Diventato filo; lo sono; e ho funzionato in immagini;
e l’ho bucato, il vigore: con qualche buona metafora;
e la bestemmia, ricucendo, strappi cicli pensieri
e un morso nel lutto, che semplice leva, per chiudere.

Ora, sono assolto; un altro teschio; un altro coraggio;
quella profonda bandiera, che consente la freccia,
quella profonda, bandiera, di questi alfabeti.
Ora, assoluzione, con metodo, raschiando bene, l’osso.

Perifrasi, chimica di lettere, qui va il tuo pomeriggio;
c’è un ripudio; un rinvio; l’assenso senza segno.
L’assioma in stasi: in seguito vedremo. Una certa
realtà, un culmine stento, di questo, di questo maggio.

Treno adopera la sua formula, ostile
sbriciolando, rinnegato, col mero atollo, di una sera
che sta, per venire, infine la parola, d’erba,
che si svolge; si disfa; in pietra; sera; leggera.

 

Cronache 3

Palla; risata. Non lo credo; ma, fioritura.
Una rotonda a picco; solita, morte; poi alcune invenzioni
di ordine estetico. Un’immagine di tutto riposo.
Mesi eroici, e sia pure, benché non distintamente.

Sul bracciolo, una gamba, scarta pochissimo. La mano
tatonne, il bosco; appena il fiore è umido; ma si lascia lì.
La voce in bits sfila, le guaine, le coppe. La voce
in bits crea residui, patetici, tra i capezzoli.

La voce, in bits, ha potere, sul bianco, lo manda in terra.
Me lo dice. Cerca lo strumento; sfiorato; dal peso.
L’ordine verbale, mi rimbalza; nudo; bella la folgore
del seme invitato, serpeggia, piomba, sul filo.

La voce in bits, fino alla stanza, al bianco, al bosco.
Mano, lieve, non troppo obbediente. Non credo. Credo.
Ora il voltaico, zoppo, crea un golgota, di emozioni, mi passa isolato,
sgombro, feroce. In bits. In bits. Il tempo mi passa.

 

Cronache 4

E guarda bene, di nuovo, disastro. Protette, dalle fiamme,
scosse, nei gangli: braccia icone sistemi stati scioperi
episodi sanguinolenti paradigmi del possesso, giudizi e
stupri su fondo rosso, leve sul limbo; sui veli.

Guarda: ma guarda bene. Le condizioni per trasmettere.
Definita la sorte del viandante: di separarsi.
Secondo gli autori. Ogni gesto. Qualsiasi dimensione.
Nel freddo. Nel tempo. Nella coscia. Nella mano.

Guarda bene, accidenti. Saccheggi; paesaggi; muri
cauti, sui poli; temi secondi, dimore che rinunciano.
Guardale bene, accidenti: ogni volto, frattura. Ogni pathos
e logos, convenzioni. Ti prego, sii gentile, con loro.

La fossa; ma indenni. La fornace; ma non le tocca.
Venefici; ma l’artificio. Bolla, il drappo. E le
e le catapulte del cosmo senza potere.
E le mie, mani, che potranno, l’enigma, vano, del pescatore.

 

Cronache 5 

Un colpo, di dadi, sul nulla, è uno stato stabile.
Era la selvaggina gioco di prestigio.
Produce, le sue cacce artificiali; e le leggi.
Poi due figure si osservano; atroci; ancora; subito; a presto.

Si sono spinte, troppo oltre. Con un gran numero di bozze
rielaborano l’est, lo fanno sparire, lo spazio.
E la tua mano, fallisce; e il viaggio, finisce.
E tu, hai datato, le tue sale, e lo stagno pullula, inutile.

Si sono spinti, a tal punto, nella vocazione! e qui
la pratica sfioriva, fino all’annaspo, sfibrato,
nel tuo buio, presso la caverna, la fessura, il taglio
parlante, aperto, il bordo sdrucciolo, la lingua; il trucco.

Pulsa, nei lembi, madidi; si cerchia; umetta; risucchia;
petali, meduse, velluti, pieghe soffici, paludi; trabocca,
l’umore frugato, sangue, conculcato, la sentinella solvente,
gange del cibo, l’acqua laconica; poi la lastra maniaca; l’orrore.

 

Cronache 6

Liberato, l’odio dà quiete. Attraverso gli strati,
nel concreto, del piede, nell’ovvia reazione, sul ciglio;
i rischi i riti i raschi, del mare, l’ordine mistificante,
l’oggetto nuziale, intricato, alla sua dissonanza.

Si attraversano, gli strati folti di pesci e di alibi, col sesso
della marionetta stilizzato, sull’affogata, sull’incolumità;
si desumono correzioni in base alla prossimità, delle mura,
si passa, lirici, al nulla; si conoscono due sole condotte.

Cavo; corrotto; rimaneggiare il fragore; il morire;
l’audizione rara; lo scheletro ammalato; e la testa
ben conservata in tutti i grandi musei!
Ne abbiamo di ottimi, esemplari, con lampade, di bronzo.

Alla svolta del segno; segue, l’abuso. Perciò, declino
una seconda, condotta. Perciò, propongo, insolente,
una sfera. Perciò, non è assimilabile; e così divaga.
Per questo mi aspetto, un silenzio; e coniugo, le ore.

 

Cronache 7

Fai quello che vuoi, e il nome rimbombava. Un grosso imbarazzo.
Ritrarsi; contrarsi; bene; indietro; indietro a fondo.
Mesi montati, in un dittico, di poltrone – finché discese
bruciante, bestia, come un assassinio; un bicchiere; (a) ritroso.

La bottega del cosmo, e vigeva, infine, inferiore.
Così, poi, «davanti a te!» (ma un cancello, piegato, nella coscia,
e i seni in polemica, e il sarcofago iniziale sigillato
e il significato, di tutto, al banco oggetti smarriti)

«davanti a te!» – «per me» – poi disse «per te» – lo disse.
Il pungitopo si era radicato, nel muro; il villaggio.
Ebbene eppure consuma il futuro al vestibolo – ebbene dorme –
ebbene ha il vizio dei bambini – davanti – poi muore – davanti a te.

È stato guastato: ci cresce dentro: poi crepa lontano.
Era, il perfetto, inutile, che fa uscire di senno.
La minaccia, trasfigurata, univoca. Vicina al cervello.
«Davanti», esplose, altrove – come disse – davanti a te.

 

Cronache 8 

Tagliano il naso i seni i piedi; recidono le corde vocali.
Cauterizzano i moncherini, e anche le mani non le vogliono.
Il resto lo ficcano nel pozzo nero, tre giorni e tre notti,
senza cibo ed è ancora vivo e l’imperatrice lo sputa.

Il pozzo nero è nel centro dell’ala dell’imperatrice,
e l’imperatrice fa pregare il giovane figlio di visitarla;
l’anello acceca, mentre gli indica il feto nel pozzo
e l’imperatore piange, e i numeri passano. E ora.

Il vezzo millenario viene; in carrozza dorata.
Dici che è meschino? Hai torto. Hai ragione. È tutto così.
Accendiamo, una sigaretta, sporgendo il braccio.
Sei tu l’imperatrice? L’imperatore è giovane e feto.

Un essere vivente, nella misura, del nome.
Pur avendo vino e cibo; e la valle, scarlatta,
dove la spina, condanna, le cose, e si poggia, sbadati,
nel sole, che non dà, sostegno, e si vorrebbe, aiutare.

 

Cronache 9 

la lastra bianca, che guidi, con la tua galera di pesci,
la lastra bianca, che spegni, sotto i piombi e le forme,
la lastra bianca, che ottieni, aggiungendo nomi,
la lastra bianca, che contagi, con l’orientamento,

la lastra, che mangi, che susciti, calunni, la lastra
che sconti, sbagli mira, la lastra, quando vieni,
che contieni che piaci, la lastra, che tessi,
la lastra bianca, che dissacri, la lastra, sempre nuova,

quella lastra, che arde, quella tua storia, di lastre,
quell’acquietamento, e che muda, può, diventa, quella,
visibile, in domanda, contro il sole, la pioggia, pioggia,
quella lastra, che aspetti, e alimenti, quel vir(us) – Wir-Us,

quell’oscurità, che costringi, che soffermi che pesti
quel mostro, che deflora, e muore infisso, quel pene-
(s)trale, quel profondo, ampio, fiele, quello, scioglimento,
e quella strada, la stra )da, la stra )da, la stra )da, la stra )da,

 

Cronache 10 

che quanto si destina, o in corsa, o ritorni, se corri,
quanto, oh, si disperde, ascesa, annuente, ritrae,
corri, torna, e rispondi, e segreghi, la lastra, col morbo,
col caro morbo, e moto, e la scarnisci, la lastra bianca,

vinto, fedele, brutale, filo, attaccato, al tuo tronco,
al risucchio, del corpo, sul binario, a quelle labbra bagnate
dischiuse, sfasciale, fuga, regione, villaggio,
davanti a te, dillo, sordo, ancora, davanti a te,

e al potere, e il disastro, col pescatore, e la lastra,
maniaca, e la lampada, e accendi, se non bevi, vieni,
vicino al cervello, sotto il feto, univoco, accecava,
con metodo, raschiando bene, del mare, l’osso, e senza,

ebbene, il sarcofago, ebbene, piegava, quel nome,
senza cibo, il bordo madido, le lingue, fruga, frugo,
la speranza: le ore, il distacco; sì respingi; sì muori;
sì sullo stile, e comprendi; dove; quando; mentre; anche se.

 

21-22 maggio ‘67, 18 ore.

Materiale tratto da tutti i testi capitati sotto mano, senza scelta, e rimontato per tutta la serie nel suo insieme entro un tempo prefisso.

[da: Renato Pedio, Bricolages, Einaudi, Torino 1968]

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