01. come il mal di stomaco, il mal di schiena, mentre stai seduto in ufficio, tra la caduta della polvere, l’arrivo delle telefonate, avendo l’idea vaga di una cosa che esiste, che ti accompagna nel corso della giornata, un amico immaginario di giochi di luce, scorci, correnti d’aria, che ti osserva cambiare espressione, soffiarti il naso, dimenticare l’accendino sul davanzale della finestra
02. come un’escrescenza di carne, una specie di organo esterno tubolare, metafisico, specializzato, appoggiato al pavimento calando da un fianco, oltre l’orlo del maglione, e sempre pulsante, filtrando il tempo in entrata, il futuro che si disfa in istanti precisi, in secondi, in vicende di una minuzia progressiva, estenuante, mentre l’inefficienza dei processi fisiologici, le parole di troppo in conversazioni che non ti interessano rallentano le ore, accennando a un’imperfezione d’impianto le cui conseguenze
03. simili alle ricorrenze, i compleanni in autunno, le festività da calendario in cui ti smarrisci, come qualcuno che ha sbagliato ufficio
04. come il senso di uno scopo generico, di un progetto sommario da seguire nel corso dei mesi, delle settimane, nelle mattine di ottobre quando, sopra la fermata dell’autobus, si apre il cielo suburbano nei suoi volumi pallidi, nelle sue regioni remote di nuvole striate, di distanze, di addensamenti di azzurri, celesti, bianchi, ancora azzurri
[da Gherardo Bortolotti, Senza paragone, Transeuropa, 2013 ]