due parole sulla poesia / denis roche. 1995

 

Aprés Lautréamont, qui la torpille, et après Rimbaud, qui l’abandonne, la poésie aurait dû rester un exercice dangereux, occupé à fouiller les marges de l’inadmissible. Contestable et condamnable. Or, un siècle plus tard, force est de constater que c’est le contraire qui s’est produit : la poésie est redevenue un art de l’officiel, la gourmandise du petit-bourgeois, un refuge médiatique pour hommes politiques en mal d’électorat bien pensant, un hobby de centriste, un prix d’excellence relié en rouge, un revers de veston pour Légion d’Honneur, une qualification rassurante. Comme telle, je la nie, donc elle n’existe pas. Et je me pose bien au-delà de la seule position morale qui fut celle d’Adorno qui disait qu’après Auschwitz le recours à la poésie ne pouvait plus se justifier. Assez de sublime à bon compte!

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Dopo Lautréamont, che la silura, e dopo Rimbaud, che l’abbandona, la poesia sarebbe dovuta rimanere un esercizio pericoloso, intento a frugare i margini dell’inammissibile. Contestabile e condannabile. Ecco che, invece, un secolo più tardi, siamo costretti a constatare che è successo il contrario: la poesia è tornata a essere un’arte dell’ufficialità, un peccato di gola del piccolo borghese, un rifugio mediatico per uomini politici in cerca di elettori benpensanti, un passatempo per centristi, un premio d’eccellenza rilegato in rosso, un risvolto per la Legion d’onore, una qualifica rassicurante. Come tale, io la nego, quindi non esiste. E mi pongo ben oltre la posizione morale che fu di Adorno, il quale diceva che dopo Auschwitz il ricorso alla poesia non poteva più essere giustificato. Ne abbiamo avuto abbastanza, di sublime a quattro soldi!

 

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Denis Roche, Intervista, in «artpress», n. 198, genn. 1995,
ora in
Les grands entretiens d’artpress. Denis Roche,
Imec éditeur, Parigi 2014, pp. 91-92.

Tr. it. per gammm: Michele Zaffarano