da: bianco è l'istante / angelo lumelli. 2015

1.10

Nelle pitture antiche ci sono, generalmente, rappresentazioni con figure di personaggi.
Siccome la rappresentazione avviene in un luogo effettivo ed effettivamente rappresentato, si apre l‘opportunità, per il pittore, di inserire, su ordine di qualche sfida oscura o per un sentimento di riparazione, cose che non c’entrano.
È coche si scoprono uccellini nel corso di una battaglia, una lucertola dietro un sasso, una lepre che scappa.
In un affresco di Guido da Ranzo, pittore ligure di storie sacre, il piccolo Gesù tiene in mano un cardellino legato con uno spago, perché non voli via.
Nel grande quadro di Altdorfer dove il cielo travolge ogni cosa c’è un piccolo soldato con l’elmo che caga dietro un cespuglio.
Se uno cominciasse a togliere queste figure all’apparenza secondarie, andrebbe incontro a gravi problemi.
Fin dove si può togliere senza intaccare l’esistenza stessa delle figure principali?
Finita l’operazione sui dintorni, l’inquisizione, mai contenta, interrogherà ciò che sembra ancora sottoposto al caso e a indebite preferenze, come le pieghe dei mantelli, i risvolti delle camicie, i bottoni, i fermagli.
Arretrando di questo passo si arriva a un gesto già accaduto, di cui non rimane traccia, se non nell’ accumulo tremendo delle cancellazioni.
Per queste ragioni una figura è sempre encomiabile, nella sua sfida.
In ogni caso le figure secondarie aprono la finestra su un mondo disimpegnato, che entra nel quadro in virtù del suo semplice esserci e che, approfittando dell’ occasione, si presenta davanti al senso.
In realtà questo felice apparire è frutto di una malizia bell’ e buona, come quella del gattino che ti passa tra le gambe ed entra in casa con te.
Ho avuto una vecchia gatta di nome Carmelina che aspettava ore per celebrare la sua entrata in casa, facendo finta di entrare di nascosto. Quando si ammalò gravemente si coricò sul tappetino di fibre di cocco davanti all’uscio. Volle stare lì anche lungo la notte e, portata pietosamente in casa, si trascinò fuori a fatica. Al mattino era scomparsa.
Questa storia commovente non esime l’inquisitore burlone dal protrarre i suoi giochi probatori: ecco che sgombera il quadro dalle figure principali, i grandi cavalli si voltano e se ne vanno, i carnefici dei santi smettono per la pausa di mezzogiorno, le madonne in posa scendono dal trono e vanno a cambiarsi il costume.
Le piccole cose che godevano il loro senso attraverso una emarginazione astutissima, adesso, in primo piano, si devono dare un senso da sole e si accorgono che è una vera impresa, come essere daccapo.

4.2

L’osservatore di segni deve essere veloce.
Un buon allenamento è giocare a flipper; fin che la pallina gira è un buon segno, accompagnato da suoni e lucine.
Molti santi filosofi l’hanno capita per tempo, allungando il gioco oltre ogni termine.
Ogni tanto qualcuno, sventurato, prende di mira un segno, per venirne a capo.
In quell’istante il gioco si ferma.
Il segno che è stato preso di mira si volta con aria calma e interrogativa, al punto che l’osservatore comincia a guardare se stesso, a cominciare dalla punta delle scarpe.
Un segno fermo è una sentenza.
Esempio clamoroso e puro è l’attesa, per la prima volta, di un segno d’amore.
Talvolta vengono escogitate trappole per scoprire dove il segno passerà. Per conservare un alto desiderio senza indigenza si può arrivare un po’ prima alla fermata del tram e vedere se lei arriverà con lo stesso anticipo.
Sono minuti di grande attesa, un esempio di ciò che costa la vera interpretazione.
Tali segni appartengono all’arte degli aruspici, alla lettura degli intestini, qualcosa di magnifico e lugubre, dove
niente di meno che la morte può essere il corrispettivo per la magnificenza dell’amore.
Inutile discutere se tutto è deciso o se tutto è trattabile, se il desiderio può essere guidato a distanza da oscuri magneti o se il caso ha già lanciato i suoi dadi.
Si può soltanto stare con il cuore in gola.
Appena il destino è aggiudicato, i segni sbiadiscono e, addirittura, si aprono le orecchie ai suoni della via, si sente il tram che passa, il botto sullo scambio, altri rumori uno per uno.
Detta così, lei non è arrivata.

[in Angelo Lumelli, bianco è l’istante, edizioni del verri, Milano 2015]