(il coltello) / éric houser. 2005

traduzione di Andrea Raos            

 
1.

g. in tondo / l’unica via d’uscita
t. la solitudine / si r. dalla sua stanza
si r. dalla società / si s. come un uomo di frontiere
ogni racconto crea un po’ di effrazione / per il semplice sopravvenire dell’evento
r. nella sua stanza / il cielo di un nero spesso
a. la natura / le sensazioni interne ed esterne
collimate esatte le une con le altre
le palpebre / dolcissime al tocco
per non ferire la pupilla / l’unica via d’uscita
 
 
2.

ancora una tazza di tè bollente / p. b. nell’oro
s. le palpebre / spalmate di miele
ogni racconto / f. l’esperienza di una gioia sull’orlo della paura
per il semplice sopravvenire dell’effrazione / crea un po’ di evento
una linea fine fine / intorno ad ogni cosa
s. / si a. in un fossato
qualche giorno prima della fine / era forse giugno
si r. dalla società / più scopertamente ma in segreto
 
 
3.

t. la solitudine / eppure una fisionomia
non mi è sconosciuta
ognuna di queste mattine / la cui singolarità si dissolve
ogni pagina scintilla / della ripetizione del cerimoniale
il sole un coltellino / conserva la polpa delle pere
bene in fondo / dolce dolce
dorate dorate / lo si può forse fare facilmente
si r. dalla sua stanza / i rettangoli di burro fonderebbero
ma sono forse troppo vecchio per imbarcarmi / su un qualche guscio di noce
 
 
4.

il gas acceso / bruire leggero di rumore
il negativo si lascia inquadrare / la recitazione l’impregnazione l’eliminazione
si trova infine a portata / netto e severo
l’immagine confusa lo schermo oscuratosi / la voce come la pioggia o il lampo
dopo lattiginoso / dopo acceca
il tetro appartamento al primo piano / traversato da cima a fondo
da pensieri nuovi
il fruscìo delle onde / o parlano tra loro
montando e ricadendo / il freddo divenuto più freddo
 
 
5.

era forse / esiste forse
una parola che spiamo verso il soffitto / questi minuti disastrosamente vuoti
da calpestare / r. nella sua stanza
e. del piatto il coperchio pesante / il riflesso montava e ricadeva dal muro
le strofe e le cadenze altrui / intriso incompiuto e spalmato male
come pesci gettati sul tavolo / bastano a far sorgere una polarità
un vento aspro soffia intorno al banco / zôé kinouméné
un vuoto / no un bianco
 
 
6.

per le loro cause stesse / le cose si dissolvono
erano le dieci / faceva bel tempo
bambini giocavano / la testa sulla tovaglia
ci addormentavamo / le cose che erano plurime
formano una coordinazione unica / si richiusero
una formidabile collera / come un turbine
mi salì inspiegabilmente alla testa / l’incomprensione e l’ambiguità
pietra di paragone / della cosa compiuta
 
 
7.

ma mi ostinavo a restarmene lì / i piedi fragili
non mi sarei scontrato con l’apparizione / di un volto impreciso
con attenzioni ipocrite / il salto non è così duro
dal m. e. al n. e. / si s. come un uomo di frontiere
lanterne colorate / ghirlande di rami verdi
te ne mancano ancora / ma le vacanze di Natale arriveranno prima o poi
a che vale l’idea dialettica / i suoi crimini di polvere d’oro
non si lasciano governare / basterebbe conservare in comunicazione gli opposti
 
 
8.

tra breve tutto buio nel sonno / p. a un tepore avvolgente
scivola lungo le lenzuola / la terra gira sempre
tutto riscalda / ogni racconto crea un po’ di effrazione
grondando poi fermandosi / il più disponibile
per fare esistere / un fondale che vada bene sia
per un episodio comico che per una scena di lutto
sempre più calda quando si smaschera / senza parole
continua a grondare gronda ancora / si arresta ogni notte
per stanchezza grande / di pensare in questo modo





Éric Houser(le couteau), Marseille, contrat maint, 2005
contratmaint [at] wanadoo.fr
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testo già pubblicato in http://www.nazioneindiana.com/2005/06/15/il-coltello/


 

fisica da bagaglio / marcel duchamp. 1939




   Calcolare la differenza tra i volumi d’aria spostati da una camicia pulita (stirata e piegata) e la stessa camicia sporca.


   Aggiustaggio in coincidenza di oggetti o di parte di oggetti; la gerarchia di questa specie di aggiustaggio è in ragione diretta del “disparato”.

 

[ in M.D., Scritti, trad. di M.R.D’Angelo, Abscondita, Milano 2005, p. 234 ]




il soggetto dipende dal sistema delle differenze / jacques derrida. 1968


[…] il soggetto, e anzitutto il sog­getto cosciente e parlante, dipende dal sistema delle diffe­renze e dal movimento della dif-ferenza, non già è presente né soprattutto presente a sé prima della dif-ferenza, e vi si costituisce solo dividendosi, spaziandosi, «temporeggiandosi», dif-ferendosi; e conferma altresì, quell’aspetto, che, come diceva Saussure, «la lingua [che consiste solo di diffe­renze] non è una funzione del soggetto parlante». Nel momento in cui interviene il concetto di dif-ferenza, con la catena che vi è congiunta, tutte le opposizioni con­cettuali della metafisica classica, nella misura in cui hanno come ultimo loro termine di riferimento la presenza di un presente (sotto forma, per esempio, dell’identità del soggetto, presente a tutte le sue operazioni, presente sotto tutti i suoi accidenti o eventi, presente a sé nella sua «parola vi­va», nei suoi enunciati o nelle sue enunciazioni, nei suoi og­getti e negli atti presenti del suo linguaggio, ecc.) – tutte queste opposizioni metafisiche (significante/significato; sen­sibile/intelligibile; scrittura/parola [parole]; parola/lingua; diacronia/sincronia; spazio/tempo; passività/attività; ecc.) diventano non-pertinenti. Esse infatti finiscono, prima o poi, per subordinare il movimento della dif-ferenza alla presenza di un valore o di un senso anteriore alla dif-feren­za stessa, più originario, che la eccederebbe e, in ultima istanza, la comanderebbe. […] 

 

Jacques Derrida, Semiologia e grammatologia. Colloquio con Julia Kristeva, in «Information sur les sciences sociales», VII, 3, giugno 1968; prima trad. it. a cura di G.Sertoli (Bertani, Verona 1975); ed. riveduta, a cura di M.Chiappini e G.Sertoli: J.Derrida, Posizioni. Scene, atti, figure della disseminazione (Ombre corte, Verona 1999, pp. 37-39)




il linguaggio di eraclito / bruno snell. 1926


Già Schleiermacher (fr. 10 della sua numerazione, p.333) traduce: “Il signore, il cui oracolo si trova presso i Delfii (sic), non spiega né nasconde ma accenna (deutet an)”. E da allora questa traduzione: “accenna” si è conservata. Ma così la proposizione non presenta una contraddizione? Se Apollo “accenna” soltanto, allora evidentemente esiste per lui un’effettiva univocità che per una qualche considerazione egli tace: dunque egli nasconde qualcosa. Ma Eraclito dice esplicitamente che egli non nasconde nulla. E poi semaíno non significa mai “accennare”. Esso significa: dare un segno. Del resto esso viene impiegato anche con particolare riferimento a segni divini. Ma qui cosa potrà significare questo: egli dà un sema?

Si richiami soltanto alla memoria di quale specie erano gli oracoli cui Eraclito può riferirsi. In Erodoto leggiamo che quando a Delfi Creso si informò sulla progettata campagna contro i Persiani, gli fu fatta la seguente profezia (Erodoto, I 53): “se tu oltrepassi l’Ali, distruggerai un grande impero”. Questo è un tale […] oracolo “a doppio taglio e a due facce” (come dice una volta Luciano, Juppiter Tragoedus 43) che non esprime chiaramente ma neppure nasconde, bensì – questo è decisivo – che dà il senso e il senso contrario. La risposta del dio presenta un sema, un simbolo, che semplicemente c’è.

E semaínein è il termine proprio per “significare” (bedeuten). Qui abbiamo il collegamento con il logos di Eraclito. Anche il logos, il senso, semaínei, non parla univocamente come il nume ma neppure nasconde nulla, bensì c’è in quanto sema e “significa”. Questo logos è effettivamente simbolo del mondo, poiché anch’esso semplicemente c’è, indifferenziato e unitario, come l’universale.

I giovani pescatori che si cercavano i pidocchi si sono rivolti all’indirizzo di Omero in questo modo (fr. 56): “quante cose abbiamo viste e prese, tante lasciamo; quante non ne abbiamo né viste né prese, tante con noi rechiamo”. Ma Omero non ha intuito il doppio senso, così come Creso non ha compreso la duplicità di senso dell’oracolo. E così anche gli uomini si lasciano ingannare dalla gnosis ton phaneron (conoscenza delle cose evidenti). La storia che narra come Omero sia morto di disperazione per la sua confusione di fronte a questa proposizione di sicuro non è granché spiritosa. Ma Eraclito la riprende, perché è un esempio semplice e ben conosciuto per ciò che considera come l’essenziale del logos. Chi nel linguaggio non vede nient’altro che uno strumento, per fissare e trasmettere una determinata conoscenza, non comprenderà mai qualcosa del senso profondo del mondo, così come esso appare nel linguaggio, e del significato autentico del logos. In Eraclito, quindi, la predilezione per i giochi di parole non è mai soltanto uno scherzo spiritoso, bensì un richiamo costante a questa singolare essenza duplice del logos, che ha significato univoco e tuttavia duplice.

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Bruno Snell, Die Sprache Heraklis (1926)
Tr.it. di B.Maj: B.S., Il linguaggio di Eraclito, Corbo, Ferrara 1989, pp. 24-26

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