sospetto / emilio fantin. 1990


Il piano era ben congegnato. Una volta arrivati tutti avrebbero eseguito le precise disposizioni decise nell’ultima riunione.
Durante il breve viaggio tra Los Angeles e Pasadena nessuno avrebbe dovuto parlare tranne naturalmente se, per qualsiasi ragione, l’automobile fosse stata fermata dalla polizia o avesse subito un incidente o qualsiasi altro imprevisto. Nel caso la polizia avesse fermato l’auto, solo il conducente avrebbe parlato mentre gli altri avrebbero osservato assoluto silenzio per non far sospettare la loro vera identità. Nel caso d’incidente sarebbe stato osservato lo stesso schema a meno che il conducente non si fosse ferito in modo grave. Allora avrebbe parlato il passeggero seduto al posto davanti. Se anche quest’ultimo fosse rimasto ferito ovviamente avrebbe risposto quello che tra i passeggeri avesse subito minor danno.
L’eventualità che la polizia potesse arrestare tutti era alta; si temeva che gli sbirri avrebbero usato qualsiasi mezzo pur di far parlare qualcuno.
Per questo tutti loro avevano affrontato un corso di sopportazione alla tortura. A turno si erano sottoposti a bruciature di sigarette, litri d’acqua ingoiati a forza, cazzotti e calci, elettrodi nei genitali, sete, fame, sonno e perfino trapanazione dei denti.
Il viaggio sarebbe servito a tutti per concentrarsi ed essere pronti al momento giusto per il quale avevano lavorato più di due anni. L’automobile era stata controllata ed era in perfetto stato. Si era deciso di tenere la radio accesa sulla stazione di frequenza 98.9 Megahertz. La musica aveva il compito di rilassare prima del momento fatale. Nonostante tutti fossero accaniti fumatori c’era il divieto assoluto di fumare. Questo non in omaggio alla moda salutista in voga in USA ma per disciplina e per mantenere viva la tensione. I pensieri dei quattro a volte si incrociavano a volte divergevano mentre le luci della città si allontanavano sempre più. Chi ripassava la parte percorrendo mentalmente tutti i momenti dell’azione, chi invece pensava tranquillamente al dopo come se la cosa fosse stata già compiuta e la salvezza in tasca… C’era anche chi si vedeva steso per terra con una pallottola in corpo. Era uno di quei pensieri inevitabili che non poteva essere eluso e che veniva giustificato solo in un secondo tempo con la scusa della scaramanzia. La macchina viaggiava nella notte e l’atmosfera al suo interno era talmente intensa che panciute particelle gassose sembravano liberarsi dal tetto. Doveva essere un effetto ottico. Il mulinello  creato dal finestrino aperto trasformava l’aria umidiccia della notte in una sorta di corrente vorticosa e fresca simile al flusso generato da un condizionatore. La vettura non superava le 40 miglia e l’andatura tranquilla e non veloce era quella di una famiglia in vacanza. Fu superata da una vecchia Dodge color crema e poi da una piccola Honda. La signora che la guidava sbirciò velocemente dentro la macchina.


[Testo e immagine di Emilio Fantin.]


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