arrivare dopo, arrivare differenti: una notilla su “poesia” e “postpoesia” / marco giovenale. 2021

Riformulazione – forse non del tutto campata in aria – di un’idea fenomenologicamente fondata di POSTpoesia, partendo dai frisbees di Giulia Niccolai, per fare un esempio (che però non è l’unico pensabile)

 

Un cenno ai frisbees, di Giulia Niccolai, è anche nel microsaggio che tempo addietro avevo dedicato a Carlo Bordini: nel n. 76 del “verri” (giugno 2021). In quella sede ma anche altrove cercavo – e tutt’ora cerco — di spostare la riflessione nella direzione di quanto Jean-Marie Gleize dice qui:

Nioques n’est pas une revue de poésie, comme son titre l’indique. C’est une revue de poésie après la poésie. Ce titre est  l’un des mots que Francis Ponge utilisait pour désigner ces textes qu’il écrivait en dehors de toute intention esthétique, et de toute espèce de préoccupation poétique ; On  rappelle ici ce qu’il écrivait dans Méthodes en 1948 : « Le jour où l’on voudra bien admettre comme sincère et vraie la déclaration que je fais à tout bout de champ que je ne me veux pas poète, que j’utilise le magma poétique mais pour m’en débarrasser (…) on me fera plaisir, on s’épargnera bien des discussions oiseuses à mon sujet, etc. »

https://slowforward.net/2021/06/22/una-nota-di-jean-marie-gleize-a-margine-di-una-recente-lettura-al-cipm/

 

Quando si parla di postpoésie – ossia quando ci si allontana dall’augusta e insieme angusta etichetta “poesia” – ci si può, prima ancora, porre all’esterno del rigido circo dei generi letterari; risulta così del tutto legittimo parlare di qualcosa che implica e assume non soltanto altri abiti, forme, inflessioni, dimensioni, profili, ma infine identità: altri nomi. E idiomi impliciti, esistenti. (Si può e forse si deve dire che la dimensione idiomatica qui sopravanza tutte le altre: e/ma è virale).

Quali sono questi altri nomi? Questi oggetti verbali non identificati?

(Non dico “nuovi”, dico “altri”, diversi, differenti). (Anche se in Italia tutto sembra voler manifestarsi come “nuovo”, perché perfino la DC ha fatto in tempo a morire ma le forme dell’assertività letteraria ancora reggono).

Ecco (citando sparsamente/disordinatamente):

epiphanies (James Joyce 1900-1904), tender buttons (Gertrude Stein 1914), tropismes (Nathalie Sarraute 1939), notes (Marcel Duchamp, pubbl. post. 1980), nioque(s) (Francis Ponge 1983, Jean-Marie Gleize), frisbees (Giulia Niccolai, appunto, 1984), proêmes (Ponge), textes pour rien (Samuel Beckett), antéfixes o dépôts de savoir & de technique (Denis Roche), descrizioni in atto (Roberto Roversi), verbotetture (Arrigo Lora Totino 1966), bricolages (Renato Pedio), domande a risposta multipla (John Ashbery; e cfr. Alejandro Zambra, nel nostro secolo), mobiles o boomerangs (Michel Butor), visas (Vittorio Reta), postkarten (Edoardo Sanguineti 1978), sentences (Robert Grenier 1978), subtotals (Gregory Burnham), films (Corrado Costa; e forse anche posizioni), e ancora: schizografie (Gian Paolo Roffi), drafts (Rachel Blau DuPlessis), esercizi ed epigrammi (Elio Pagliarani), anachronismes (Christophe Tarkos), remarques (Nathalie Quintane), ricognizioni (Riccardo Cavallo), anatre di ghiaccio (Mariano Bàino), lettere nere (Andrea Raos), linee (Florinda Fusco), ossidiane e endoglosse e microtensori e statue linee e “installances” (Marco Giovenale 2001, 2004, 2010, 2022, 2010), tracce (Gherardo Bortolotti 2005), prati (Andrea Inglese), diphasic rumors (Jon Leon 2008), united automations (Roberto Cavallera 2012), paragrafi e istruzioni (Michele Zaffarano 2014, 2021), incidents (Luc Bénazet 2018), sentences (Cia Rinne 2019), defixiones (Daniele Poletti),  avventure minime (Alessandro Broggi), développements (Jérôme Game),  conglomerati (Andrea Zanzotto), saturazioni (Simona Menicocci 2012), nughette (Leonardo Canella 2013), cose (Fabio Lapiana), sinapsi (Marilina Ciaco), dottrine (Pasquale Polidori), disordini (Fiammetta Cirilli), spostamenti (Carlo Sperduti), spore (Antonio F. Perozzi). E aggiungerei le frecce di Milli Graffi.

Senza contare le infinite modalità (perlopiù elencative) messe su pagina da Perec (le cartoline e le passeggiate raccolte nell’Infra-ordinaire, o le stringhe di Je me souviens).

Durante una conversazione, tempo fa Luigi Magno suggeriva di pensare alle stesse cancellature di Isgrò come a dispositivi di questo tipo, oltretutto in forma di ponte fra la scrittura e l’arte. Per tacere, in tal senso, delle innumerevoli soluzioni disseminate nel tempo da Emilio Villa: “cause”, “variazioni”, “madrigali”, “attributi”, “phrenodiae”, “méditations courtes”, “videogrammi”, “letanie”, “sibille”, “trous”, “labirinti”, “tarocchi”, … (tutte forme disperse come, già nel 1949, i “sassi nel Tevere”).

Vogliamo continuare a estendere all’infinito il contenitore generico / generale / generalista che chiamiamo “poesia”, nonostante tutti i nomi altri che la scrittura si è data, o finalmente accettare l’iridescenza di forme che ormai da più di un secolo ci si presenta?

Un po’ come per l’iridescenza dei generi, ho idea che si debba iniziare a rifletterci seriamente.
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il testo riprende, amplia/varia e in parte

trasforma un intervento comparso tre anni fa qui