SCRITTORI MUTANTI: SULLA POESIA CONTEMPORANEA FRANCESE / Nelly Kaprièlian. 2003

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Per scrivere non traggono più ispirazione solo dai libri, ma anche dalla musica, dall’arte contemporanea e dal video, allo scopo di importare altre tecniche nel campo letterario. Questa nuova generazione di scrittori ibridi travolge le norme della letteratura francese.

 

In Francia, Michel Houellebecq non è l’unico a svecchiare la letteratura: negli ultimi anni infatti è emersa tutta una nuova generazione di scrittori con tecniche di scrittura davvero inedite. Tutti poeti, perché è nel campo della poesia che si praticano le esperienze più estreme in termini di innovazione linguistica. Tanto che, a star dietro alle loro manipolazioni testuali, si finisce col pensare che il termine “poesia” sia proprio invecchiato. Ma che cosa distingue questa giovane avanguardia da quella degli anni ’60-’70? Soprattutto la voglia di rifiutare una filiazione unica e puramente letteraria. Risultato: degli UFO letterari, Oggetti-libro non identificati, o meglio, non identificabili secondo i soli criteri accademici, perché scritti da autori curiosi di usare i metodi di altri campi artistici e gli strumenti tipici delle nuove tecnologie (campionatura, collage, montaggio, sampling, riciclaggio). Ai comandi di questi “UFO”, con la leggibilità come unico obbligo, troviamo una generazione di scrittori mutanti.

 

Generazione 1960 e postmoderni, figli del rock e della new-wave, impregnati di arte contemporanea e di techno, tuttofare eruditi e ingenui, artisticamente polivalenti, tutti esplorano il proprio mondo intimo con una consapevolezza acuta del proprio tempo e con gli strumenti che questo mette a loro disposizione. Senza fare tabula rasa dell’eredità delle avanguardie 1960-70 e senza farne un super-io letterario schiacciante, perché la lingua lasciata al pantheon delle scritture è una lingua morta, ognuno sembra approfittare semplicemente della porta aperta dalla generazione precedente, come se la modernità fosse diventata una galleria traboccante di ogni sorta di nuove forme-strumento di cui lo scrittore si può servire per penetrare l’universo.

 

La tecnologia, nuovo vettore della poesia.

 

Conosciuta come “poetessa”, Nathalie Quintane realizza video-opere che non dissocia dalla scrittura. Da Remarques (Osservazioni), il suo primo libro, a Quasi-Monténégrins, l’ultimo pubblicato, Quintane non smette di moltiplicare gli angoli d’attacco per cercare di afferrare il reale nella sua globalità. Osservazioni falsamente ingenue, particolari stupidi, Quintane lavora nella negazione assoluta dell’eventuale nobiltà di un soggetto in letteratura: tutto può prestarsi alla scrittura.

 

Dopo aver cominciato come videoartista, Valérie Mréjen si è fatta notare in letteratura grazie a due libri: Mon grand-père (Mio nonno) e Agrume, composti di piccoli blocchi di testo come tanti aneddoti o scenette. Alla pari di Nathalie Quintane, gira i suoi video come scrive i propri testi. Che si tratti di brevi film o di libri, Valérie Mréjen lavora nello stesso modo, restituendo le parole degli altri in brevi scene.

 

Prima di tutto critico d’arte e curatore di mostre, Jean-Charles Masserà si distingue per i suoi collage di brani di discorsi ufficiali, frasi politiche, articoli di giornale. Il suo scopo: mostrare la lingua amministrativa in ciò che ha di più crudelmente assurdo, mettere in evidenza ciò che manipola insidiosamente, produrre spazi di respirazione critica.

 

In questo gesto politico, il denominatore comune di questi scrittori resta la lingua e il suo soggetto. A colpi di cut-up e di scrittura minimale, di pseudo-ingenuità e di osservazioni falsamente sciocche, i libri UFO rimettono in questione la tradizione letteraria di una lingua propria all’autore.

 

Patrick Bouvet, dal canto suo, attinge dai media. Poiché la lingua di oggi proviene anche dalla televisione e dalla pubblicità, lo scrittore ne è impregnato come chiunque altro. Con In situ, Shot e Direct, Bouvet ha scritto una trilogia sui mass-media: libri organizzati in corti blocchi di poesia ripetitiva, didascalie di foto e immagini mixate. E siccome Bouvet all’inizio aveva fondato un gruppo rock, ognuna delle sue letture-esibizioni è cullata da musica elettronica.

 

“L’opera realtà”.

 

Christophe Fiat, invece, si accompagna con la chitarra elettrica: ispirati dal rock, i suoi testi sono assillanti e ripetitivi come i ritornelli delle canzoni popolari. Quanto a Charles Pennequin, ha lavorato con la televisione, riciclando i dialoghi della miniserie Medici in prima linea in uno dei suoi testi. Recentemente ha pubblicato Bibi, un libro composto da una moltitudine di voci anonime, tanto da perdere completamente identità.

 

Ed è probabilmente proprio qui la novità essenziale, in questo tentativo di svuotare l’autore, la sua lingua propria. Congegni complicati, questi lavori di montaggio e di riflessione, di recupero del reale e di montaggio d’immagini hanno l’immenso vantaggio di creare interrogativi.

 

Per Olivier Cadiot, capofila di questa nuova generazione, si tratta semplicemente di un’esigenza intrinseca alla letteratura: mescolare quello che il presente e il passato ci offrono e lavorarci sopra. Di suo, bisogna leggere i folgoranti Retour définitif et durable de l’être aimé (Ritorno definitivo e duraturo della persona amata) e Fairy Queen: ovvero come trapiantare carne e sangue e emozione in queste manipolazioni sofisticate, approfondire un personaggio, insomma in poche parole appropriarsi di quel genere vecchio come il mondo che è il romanzo. Ed è già su questo principio del trapianto che Olivier Cadiot aveva fondato con Pierre Alféri la geniale Revue de littérature générale (Rivista di letteratura generale) nel 1994: vi si trovavano già testi dell’artista Claude Closky, di Jean-Charles Masserà, a fianco di testi di cinema e di filosofia e di giardinaggio. Perché le riviste hanno un ruolo incontestabile nell’emergenza di queste nuove pratiche letterarie. Si chiamano Niocq, Plastiq, Java, e sono veri e propri piccoli laboratori di scrittura. Sempre più spesso sono corredate da un CD, come se la musica fosse altrettanto centrale rispetto allo scritto, e danno la misura del futuro della letteratura: sbarazzata da ogni barriera e arricchita da nuovi generi.

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Nelly Kaprièlian

 

(Da Label France n. 52, ottobre 2003. Immagine: Daniel Lefcourt, The Invention of Public Relations, 2005, archival inkjet photograph, Taxter & Spengemann Gallery, New York.)