da "la febbre" (cap. 1) / francesca genti. 2011

I CANI

Ci sono dei cani che si suicidano. Si buttano giù, nel vuoto, senza un latrato. Calmi.
Ce ne sono dappertutto, in ogni edificio che affaccia sui quattro lati della piazza.
Noi siamo al centro della piazza, al centro della scena.
Seduti su una panchina osserviamo quello che succede.
Giochiamo con i cani: il primo di noi che conta cento cani morti vince.
Io sono a ottantasette, sto vincendo.
Andrej è a quota trenta.
Il vecchio Astrologo ne ha contati dodici, ma lui non fa testo, è completamente cieco.
Conta i cani in base ai tonfi che percepisce. Il rumore è come di cachi giganti che si spiaccicano dolcemente a terra.
Il silenzio ci avvolge, è facile cogliere il rumore dei cani più vicini.

Non è più tempo di guardare il cielo notturno, cercare le stelle cadenti, esprimere desideri.

Questo per due ragioni.
Da un bel pezzo non esiste più la notte. Il cielo un giorno si è ribellato. Il sole si è incastrato rimanendo appena sopra la linea dell’orizzonte.
Sono anni che viviamo in un perenne tramonto.

Il futuro non esiste più, al pari del cielo stellato. O meglio: è drasticamente diminuito, abbiamo quasi esaurito la nostra razione di futuro.
Siamo rimasti in pochi qui in città e tutti con le ore contate. Esprimere un desiderio? L’unico sensato sarebbe quello di essere catturati, torturati e uccisi il prima possibile. Ma non possiamo farlo perché non vogliamo morire.
È contro ogni logica, ma è così.
Cosa rimane da fare allora se non giocare ai cani, ricordare il passato, cercare di stare su?

Andiamo con ordine.
Siamo in tre. Io, Andrej e l’Astrologo.
Tutti e tre siamo esseri umani di sesso maschile, adulti, di età avanzata.
La città negli ultimi tempi è cambiata molto.
Ho già detto che viviamo nell’eterno del tramonto. Da quanto? Non lo so, senza l’alternanza di giorno e notte si perde velocemente la cognizione del tempo.
Non abbiamo orologi. Una volta se ne trovavano disseminati per le strade, ora non più. È tutto finito, molte case sono crollate, altre stanno per crollare. Oltre a noi tre, ci sono pochissimi esseri umani. Daremmo un braccio per incontrarli. “Darei la vita per incontrarvi!” è solito urlare lugubremente Andrej.
Non è facile, se ne stanno tutti nascosti.
Per usare un eufemismo, non è una buona idea andarsene in giro per le strade.
Sono terra di nessuno, anzi, qualcuno c’è.
Ci sono molti poliziotti. Le sembianze sono quelle umane: hanno due braccia, due gambe, due piedi, due mani, due occhi incastrati nei bulbi oculari, hanno capelli di vario colore e lunghezza, sono vestiti con divise e non girano mai soli. Ognuno di loro porta al guinzaglio un cane-babbuino. Sono feroci. Ne esistono di tre razze.
I babbu-bull, incrocio tra babbuini alfa e pit-bull, gli alababbu, babbuini alfa incrociati con alani e i mastibuini, mastini più babbuini alfa.
Hanno selezionato razze molto intelligenti e molto aggressive, poi c’è stato l’addestramento, un lunghissimo film horror, ed eccoli pronti per la loro missione, la solita dall’alba dell’umanità, riassumiamola così: estirpare l’erba cattiva.
Noi tre resistiamo, il nostro rifugio è la stazione Centrale, uno dei pochi edifici rimasti ancora intatti, anche se non passano più treni. Non ci hanno ancora preso e questo è quasi un miracolo.
Infatti, a differenza degli altri, noi non ci nascondiamo, proprio per niente.

Per quanto mi riguarda, il mio totale sprezzo del pericolo deriva dal mio passato, dalla mia vita, da quello che sono stato.
Mi presento, io sono Il Poeta.
Naturalmente è un nome d’arte. Non ho mai scritto mezzo verso in vita mia, per quello c’è Andrej.
C’è stato un tempo in cui facevano la fila per intervistarmi. Caccia al Poeta. Volevano rubarmi l’anima e non solo.
Sono diventato famoso in una settimana.
Mi annoiavo molto in questa città.
Il piattume della sua vita notturna e culturale era insopportabile.
Così ho comprato un pennarello, un biglietto della metro e con pazienza ho cominciato con i miei graffiti, i miei slogan.
Di cosa potevo scrivere? Il sesso era ormai dappertutto, totalmente depotenziato, alla violenza si erano già assuefatti, ho pensato alla religione, un grande classico, un intramontabile evergreen.
Belzebù maiale terminale.
Baal straccione.
Satana feticista dei piedi con vescica.
Thot lavora in un call center.
Con pazienza ho coperto tutte le fermate con le mie scritte.
Sono bastati pochi giorni che giornalisti, scrittori, galleristi, video maker mi erano alle calcagna.
Tutti cercavano Il Poeta dei Graffiti, così mi aveva soprannominato un critico d’arte scrivendo un articolo sul mio lavoro.
Insomma sono diventato famoso. E ricco. Ho girato il mondo facendo mostre in tutte le più importanti gallerie, ma di nuovo mi annoiavo terribilmente.
Finché in uno scantinato di Giurgiu ho scoperto la più estrema e segreta forma di body art.
Consisteva nel tagliarsi parti del corpo e sostituirle con parti di animali.
Ho cominciato tagliandomi una mano e inserendole al suo posto una zampa di rapace.
Sono andato avanti così per molto tempo, inventando la body animal art, diventandone l’unico, ricercato, riveritissimo esponente.
Nel corso della mia carriera mi sono spinto oltre i limiti immaginabili, trasformandomi in un frankestein all’ennesima potenza, in un terribile zoo ambulante.
Vedendo come stanno le cose adesso, trasformando il mio corpo in un oracolo.
Sono diventato un mostro. È stato un successo planetario.
Ho subito talmente tante operazioni e mi sono inflitto talmente tanto dolore che il pensiero di venire sbranato da un cane babbuino non mi fa né caldo né freddo.
Sono le mie ultime ore, voglio viverle allegramente.

L’Astrologo ha un sussulto, con il suo bastone di ebano colpisce tre volte il suolo. È un segnale. Significa che stanno arrivando.
Con calma Andrej e io ci alziamo e adagiamo il vecchio sulla sua sedia a rotelle.
«Dove andiamo?»
L’Astrologo rotea il bastone in aria, poi lo poggia a terra e disegna sull’asfalto morbido come cera un cerchio irregolare.
«Vuole andare al mare» dice Andrej.
Lentamente ci avviamo, io davanti e Andrej dietro, portando la carrozzina

Sono la loro sentinella, la loro guardia del corpo.
Il motivo è molto semplice: sono talmente mostruoso che i poliziotti e i loro cani-babbuino, almeno di primo acchito, rimangono terrorizzati.
Quei pochi attimi di spaesamento sono preziosi per la nostra fuga.
Come ho già detto, l’idea di essere catturato non mi spaventa particolarmente, ma l’idea di fargliela ancora una volta, quella sì che mi eccita.
È un altro gioco, come contare i cani.
Dice la saggezza popolare: più si invecchia, più si torna bambini.
E il mondo ora è proprio invecchiato, almeno ai miei occhi.
Ai miei occhi tutta la città è un enorme, sterminato, tremendo Luna Park.

C’è un altro motivo per cui non voglio farmi prendere: non voglio morire prima di Andrej e l’Astrologo, mi sento responsabile per entrambi.
Poi, anche se non gliel’ho mai detto, in fondo al mio cuore, in un angolo della mia mente, penso che Andrej abbia ancora qualcosa da fare prima di tirare le cuoia: incontrare una donna e fare un bambino.
Sarebbe un gesto assurdo, data la situazione in cui siamo? Non certo più assurdo di mettersi in marcia, sfidando eserciti di poliziotti, per andare a fare il bagno nel mare di catrame che giorno dopo giorno avanza, mangiandosi un altro pezzo della periferia nord est della città.

[Da: Francesca Genti, La febbre, Castelvecchi, 2011. Immagine dal videogame Fall out 3.]