da L'ORDINE DEL DISCORSO / Michel Foucault. 1971

[…] Si possono rintracciare subito alcune esigenze di metodo ch’essi comportano.

Un principio di rovesciamento innanzitutto: là dove, secondo la tradizione, si crede di riconoscere la scaturigine dei discorsi, il principio del loro proliferare e della loro continuità, nelle figure che sembrano svolgere un ruolo positivo, come quella dell’autore, della disciplina, della volontà di verità, bisogna piuttosto riconoscere il gioco negativo d’un ritaglio e d’una rarefazione del discorso.

Ma, una volta rintracciati tali principi di rarefazione, una volta che si sia cessato di considerarli come un’istanza fondamentale e creatrice, cosa si scopre al di sotto di essi? Si deve forse ammettere la virtuale pienezza d’un mondo di discorsi ininterrotti? Qui occorre far subentrare altri principi di metodo.

Un principio di discontinuità: il fatto che ci siano sistemi di rarefazione non significa che sotto di essi, al di là di essi, possa regnare un gran discorso illimitato, continuo e silenzioso, che vorrebbe essere, da essi, represso o rimosso, e che noi avremmo il compito di far sorgere restituendogli infine la parola. Non bisogna immmaginare un non detto o un impensato, che percorrano il mondo e si intreccino con tutte le sue forme e tutti i suoi eventi, e che si tratterebbe di articolare o di finalmente pensare. I discorsi devono essere trattati come pratiche discontinue, che si incrociano, si affiancano talora, ma anche si ignorano o si escludono.

Un principio di specificità: non risolvere il discorso in un gioco di significati precostituiti; non immaginarsi che il mondo ci volga un viso leggibile, che non avremmo più che da decifrare; il mondo non è complice della nostra conoscenza; non esiste una provvidenza prediscorsiva che lo disponga a nostro favore. Occorre concepire il discorso come una violenza che noi facciamo alle cose, in ogni caso come una pratica che noi imponiamo loro; e proprio in questa pratica gli eventi del discorso trovano il principio della loro regolarità.

Quarta regola, quella dell’esteriorità: non andare dal discorso verso il suo nucleo interno e nascosto, verso il cuore di un pensiero o di un significato che si manifesterebbero in esso; ma, a partire dal discorso stesso, dalla sua apparizione, e dalla sua regolarità, andare verso le sue condizioni esterne di possibilità, verso ciò che dà luogo alla serie aleatoria di quegli eventi e che ne fissa i limiti.

Quattro nozioni devono dunque servire da principio regolativo alla analisi: quella di evento, quella di serie, quella di regolarità, quella di condizione di possibilità. Esse si oppongono, come si vede, termine a termine: l’evento alla creazione, la serie all’unità, la regolarità all’originalità, e la condizione di possibilità al significato. Queste quattro ultime nozioni (significato, originalità, unità, creazione), hanno, in modo assai generale, dominato la storia universale delle idee, ove, di comune accordo, si cercava il punto della creazione, l’unità di un’opera, il contrassegno dell’originalità individuale, e il tesoro indefinito dei significati nascosti.

[da L’ordine del discorso / Michel Foucault. Einaudi, 2004]