da LIMBO MOBILE / Ugo Coppari. 2009. I

Supermarcato
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Quando sei confuso le altre persone non hanno sfondo. Le loro sagome scivolano in un contesto bidimensionale. Sono appiattiti i corpi le parole l’aria. Poi respiri forte e riprendi fiato. Quando soffi lo spazio circostante si gonfia e la vita riassume una profondità di campo.
Oggi mentre facevo la spesa al supermercato mi sono accorto di un commesso polacco che aveva i capelli rasati a zero e il viso ben levigato, intento a sistemare lo scaffale dei latticini. Dal reparto sale/zucchero/riso ho notato che il suo corpo si estendeva lungo una superficie piana, muscoli inclusi. Da un lato si vedevano un paio di blue jeans, una polo rossa, un volto bianco, una collanina d’oro e un paio di scarpe sportive. Dall’altro soltanto jeans, polo, collo e capelli. Un bordo ben marcato lo separava drasticamente dal mondo esterno e distingueva la sua figura anteriore da quella posteriore, senza soluzione tra fronte e retro.
Le cose viste di profilo si svestono.
A un certo punto mi sono diretto al reparto “surgelati”. C’erano gli spinaci surgelati, la pizza surgelata, i gamberetti surgelati: poi le patatine già fritte ma surgelate e infine i gelati. I gelati non vanno scongelati, li compri e li consumi come sono: dovrebbero stare in un altro reparto.
Arrivato alla cassa mi sono messo in fila e ho atteso il mio turno, con un carrello pieno di prodotti surgelati. Molti ragazzini avevano in mano due o tre cose, io molte di più: allora li ho fatti passare avanti. Arrivato il mio turno la cassiera schiaccia un bottone rosso e sopra di me si accende una lampadina. La luce gialla diceva cassa chiusa. Così ho cambiato fila e mi sono rimesso in coda. Ho fatto passare avanti diverse signore piuttosto anziane, che avevano in mano pochi prodotti: per lo più uova e farina. Dopo mezz’ora dal mio arrivo alla cassa i prodotti surgelati si erano completamente scongelati. Il gelato alla stracciatella non aveva più consistenza e tutto il resto era molle e debosciato. Soltanto il carrello della spesa rimaneva rigido e fermo sul posto: il manubrio rosso, la carcassa grigia e le ruote nere.
Allora ho deciso di lasciarlo lì, a raccogliere tutta quella morte scongelata. Io me ne sono tornato a casa, ché stavo morendo di caldo.

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L’ospizio il sole e gli oggetti inanimati
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Tornando verso casa ho deciso di passare all’ospizio dove alloggia mia nonna, che ha tre volte la mia età.
Quando avevo un terzo della mia età ero solito accompagnare mio padre a lavoro, anche se era lui a guidare l’auto. Una volta sceso lo vedevo scivolare via verso la fonderia, con altri signori che non conoscevo affatto. Alle loro spalle, dentro vasche piene di fuoco, ribolliva un ammasso di giallo e rosso mescolati insieme, da cui fuoriuscivano lingue e zampilli di luce. Credevo che dentro quelle vasche ci fosse il sole, perché lì dentro si scioglieva tutto quanto: entravano oggetti solidi multiformi, ne uscivano altri tutti della stessa identica forma. Allora mi sono detto che il sole trasforma le cose, le fa cambiare. Se inserisco la testa di un martello nel sole posso tirarne fuori uno scalpello, mi dicevo.
Se invece lancio mia nonna nel sole non ne tiro fuori niente. Le persone farebbero meglio a starsene lontane dal sole, altrimenti non ci sarebbero più. Perché hanno la carne le ossa il sangue e un’anima, che quando si muore non si trasforma in nient’altro: sostanzialmente non c’è una fase di transizione. Si passa dal nulla, cioè quando ancora non esistiamo, a un qualcosa di già integro e formato: fino ad arrivare alla fase del decadimento, che ci contraddistingue dagli oggetti inanimati. Prendiamo ad esempio una penna carica d’inchiostro, che inizialmente ha le righe gialle e nere verticali e la punta molto affilata. Quando si esaurisce l’inchiostro la penna non è più una penna, ché la sua funzione strumentale è venuta meno. Magari la teniamo con noi perché quelle righe gialle e nere ci ricordano qualcosa, un momento o una persona. Ma il più delle volte la gettiamo. Quando le persone diventano anziane pretendiamo che funzionino ancora come una volta, così quando ci accorgiamo del contrario rimaniamo delusi. L’inchiostro è esaurito, ma la loro anima può ricordarci molto altro: a mia nonna voglio molto bene.

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Il volto dei criminali e la mancanza di luce
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Allora un giorno ho deciso di non incontrare più il sole, perché mi avrebbe fatto scomparire: volevo invece conservare quanto avevo accumulato nel tempo. Ad esempio quando con la matita raffiguro il volto delle persone scomparse, capita di commettere alcuni errori da cancellare. La gomma lascia sul foglio il residuo degli sbagli, consumandosi. Così raccolgo quegli errori e anche il legno della matita temperata. E li conservo, perché lì c’è passato un gesto un uomo una differenza.
Ecco perché ho deciso di abitare la notte. Conosco un paio di bar dove i nottambuli brancolano nel buio. Abitando la notte si riduce il tempo di veglia diurno, anche se ci si deve pur sempre svegliare prima o poi. E non riuscendo a dormire per più di dodici ore consecutive, verso le cinque del pomeriggio mi ridesto dal sonno. Quando riapro gli occhi la stanza è buia, perché ho coperto le finestre con il cartone: e sento di non essere lo stesso di prima. E allora mi sono detto che pure la notte è il sole, ché trasforma le cose. Quando ho capito che pure la notte era il sole ho ripreso a non chiudere occhio, perché la veglia mi avrebbe permesso di non rapportarmi più al sole, neanche la notte.
Mercoledì scorso sono andato dal fioraio sotto casa. Una mia amica compiva gli anni, così ho pensato di regalarle un mazzo di margherite giganti. La fioraia stava legando i gambi con un fiocco rosso, quando a un tratto sono svenuto: dopo tre giorni di veglia snervante il sole mi aveva chiamato a sé. I fiori non li ho più comprati. La mia amica è invecchiata di un anno senza i miei fiori. La sua giovinezza sfiorita. Li porterò sulla sua tomba, quando ce ne sarà bisogno.

[Limbo mobile / Ugo Coppari. Morlacchi, 2009]