da "inespressionismo" / germano celant. 1988

Se prima le avanguardie storiche privilegiavano il reale, quale entità extraterritoriale all’arte, proponendone un assemblage atto a creare ex nihilo nuove immagini, oggi la produzione artistica opera sul decoupage e sull’interpretazione di immagini “già fatte”. Si studiano le loro combinazioni e i loro intrecci, il loro ruolo sullo “schermo” e la dualità tra display scenografico degli oggetti e loro ripresa.

Il vero problema non è il ritorno all’io romantico, al gesto del buon selvaggio, al narcisismo del soggetto e alla buona coscienza dell’arte. Tutto ciò comporta lo status quo. Bisogna accettare di essere strumenti e aggeggi di un sistema globale per rivelarne il ruolo: lavorare sull’illusione per non illudersi.

Attenzione all’inganno dei linguaggi della produzione e della comunicazione […] esigenza di un soggetto d’arte che interroga ed analizza, indaga e critica le forme di argomentazione e di persuasione del presente.

[Con il termine inespressionismo si vuole definire l’ipotesi di] un’uscita dagli estetismi e dai personalismi […] a favore di una ricerca analitica e critica del banale e delle sue mancanze […], profano e scettico tanto da incamminarsi nella via del non-essere. […] L’inepressionismo porta attenzione sugli inganni dei linguaggi, compreso quello dell’arte. Non recita, ma si mette a nudo.

Rispetto alla pittura neomanieristica e citazionista che ha cercato di inventarsi una motivazione fragile e di riproporre la “rarità” in un paesaggio inflazionato dai prodotti, l’inespressionismo non tenta di salvare con ipotesi tradizionaliste l’arte dall’ambiente quotidiano, non ricorrere alla storia e alla fragilità psicologica, cerca piuttosto di negare i privilegi artistici, conscio che non è più possibile differenziare tra i materiali di una cultura nè enfatizzare un aspetto rispetto a un altro.

L’inespressionismo si muove in questo “deserto”, dove il miraggio si confonde con la realtà ed il trapasso da originale a copia non ha fine. Si pone dinnanzi ad una distesa operativa senza confini, una terra inesplorata di cui nessuno ha visto le frontiere. Prende sul serio la forza dell’anonimato, sia dei media che del quotidiano, in cui niente si fissa e tutto transita per compiere un viaggio interminabile nel buco nero dell’oggettualità e della produttività.

L’inclusione o l’assunzione del già fatto e dello standard non abbassano il grado di inventiva dell’arte, aprono solo altri territori. L’immersione nello spazio labirintico della produzione […], dove tutto è uguale e disponibile, determina la circolazione aperta dei segni.

[L’arte] non può in un’epoca supertecnologica continuare a nutrirsi di gesti esistenziali e viscerali, di memorie e di nostalgie per il passato.

[Si tratta di] gestire le terminologie secondo pratiche esterne, partendo dagli accessori e dalle limitazioni date dal contesto in cui si trovano.

Mettere in discussione la verità e l’assolutezza del procedere […] [a favore di] un intendere inevitabile ed effettivo. E siccome le opere nascono per autoformazione […] azzerano l’idea di un processo complicato ed astruso, dove si tentano di celare i misteri profondi del creare, ne disperdono i significati mistici ed annullano i meccanismi rituali.

Le funzioni retiniche, della pittura e della scultura, colpite da crisi, vengono riparate e sostituite con materie e figure che sono coltivate in vitro come la fotografia ed il film, la riproduzione e l’oggetto seriale, parti ed organi industriali nati dalla manipolazione e dalla combinazione e ricombinazione degli standard.

La pubblicità, l’elettronica, la moda, il cinema, il design e la fotografia, al pari della pittura e della scultura, sono patrimoni culturali. Vanno accettati e studiati, analizzati e approfonditi.

In questo oceano di schegge e di eventi […] si percepisce […] la riflessione linguistica sulla capacità persuasiva e comunicativa delle cose già fatte.

Gli insiemi inespressionistici indagano le forme di argomentazione applicate in tutti i campi del vedere e del costruire. Lavorano sui e con i media, linguaggi senza soggetto. […] Ne svelano gli artifici retorici e le tecniche di persuasione, ne verificano la generalità e l’autonomia. Operano sulla Retorica della pubblicità, della fotografia, del cinema, dell’architettura e del design per sviscerarne le figure e i generi, renderne palese l’eloquenza […] gli assemblaggi […] [quali] emblemi di una elaborazione tesa a delineare come funzionano i sistemi di adulterazione e di contraffazione dell’immagine. [… ] Cercano di fondare un’attitudine antiretorica.

Per liberarsi l’artista non dovrà essere dinnanzi all’immagine, ma dentro l’immagine. Viaggiarci all’interno e capirne i dispositivi, i meccanismi di trasporto e di veicolazione […] operando in questo continuum, composto di vettori mediatizzati come la fotografia o il cinema, si può verificare il breve tragitto delle immagini private e pubbliche.

L’inespressionismo tende a rivelare l’assurdo assoluto di un “vivere per” l’immagine e [tenta] di rovesciarne la logica di mercificazione, facendo la sublime parodia degli stereotipi.

È nell’amorfo urbano, il cui perimetro è aperto a tutti i transiti di immagini e di cose, che il contemporaneo neutrale ed anonimo delle azioni non-soggettive, dei sistemi di transizione e comunicazione mostra le sue ricchezze.

L’immagine è trasparente, non lascia traccia o impronta, viaggia in un tempo “istantaneo”, è una grandezza senza luogo con una forza primitiva, appare e scompare, ma genera un rituale magico che segna profondamente le radici culturali di una società. Pertanto per renderla visibile sarà necessario feticizzarla.

Per sfuggire ad una vertigine incontrollata che la travolgerebbe l’arte inespressionista introietta i legami essenziali con i sistemi di apparenza e artificio. Si mimetizza con essi e si assegna un ruolo di interpretazione critica e decostruttiva. Si dichiara disponibile ai comportamenti mediati e alla mentalità inespressiva per cercare una sua autonomia nel sitema planetario dei manufatti e degli artefatti. Si emancipa non più nell’originale, ma nella copia della copia, nella riproduzione della riproduzione, nel simulacro del simulacro, per tenere il passo con la ripetitività comunicazionale. E per ottenere questo risultato si adegua a diventare una tecnica sofisticata e precisa, allerta sul suo modo di produzione artificiale. Calcola la sua proietività ed i suoi percorsi geometrici, non si affida più all’accidentale e allo spontaneo, ma alle scienze e alle tecnologie.

L’avvento dei media sullo schermo dell’arte rende definitive l’implausibilità e l’irrealtà delle sue stratificazioni esistenziali e naturalistiche.

[Da: Germano Celant, Inespressionismo. L’arte oltre il contemporaneo, Costa & Nolan, 1988. Immagine: Haim Steinbach, Global proportions, 2007, Sonnabend Gallery, NY.]

[A margine, segnalo un possibile confronto tra gli argomenti di questo saggio di Celant e le analisi di Nicolas Bourriaud in Postproduction, di quindici anni successive.]