nicolas bourriaud

[…] “materialismo dell’incontro” [Louis Althusser] o materialismo aleatorio. Tale materialismo assume come punto di partenza la contingenza del mondo, che non ha origine né senso che gli preesista, né ragione che gli assegnerebbe un fine. Così, l’essenza dell’umanità è puramente transindividuale, costituita dai legami che uniscono gli individui tra loro in forme sociali che sono sempre storiche (Marx: l’essenza umana è l’insieme dei rapporti sociali). Non esistono possibili “fine della storia” né “fine dell’arte”, poiché la partita si riavvia in permanenza, in funzione del contesto, cioè in funzione dei giocatori e del sistema che essi costruiscono o criticano. Hubert Darmsch vedeva nelle teorie della “fine dell’arte” il risultato di un’infelice confusione tra “fine del gioco” (game) e “fine della partita” (play): una nuova partita si annuncia non appena il contesto sociale cambia radicalmente, senza che il senso del gioco sia rimesso in questione.

Questo gioco interpersonale, che costituisce il nostro oggetto (Duchamp: “L’arte è un gioco fra tutti gli uomini di tutte le epoche”), supera nondimeno il quadro di ciò che per comodità potremmo chiamare “arte”: così le “situazioni costruite” esaltate dall’Internazionale situazionista sono parte integrante di questo “gioco”, malgrado Guy Debord, in ultima istanza, negasse loro ogni carattere artistico, vedendovi al contrario il “superamento dell’arte” tramite una rivoluzione della vita quotidiana.

[Da: Nicolas Bourriaud, Estetica relazionale, Postmedia books, 2010. Dello stesso autore –>. Foto: A. Broggi.]